• Scrivo in due quarti. Se mi chiedi di parlare del Tango, questa è la mia "salida": contare, e dove arrivano le pause ricordare la danza. Certo una Milonga in due, e forse più avanti anche i tre e i quattro quarti, ma sinora solo due. Sì perchè, non sapendolo ballare ho voluto ugualmente comporne, capendo che quei passi non son fatti per essere memorizzati ma inventati ogni volta rimettendo tutto in gioco.
Mi sono concentrato quindi su quei momenti unici, apparentemente non di danza, che sempre intravedevo nel ballerino. Strani tic, scarti, un rallentamento fuori dal tempo, raddrizza le spalle, muove appena il mento: le pause. Lì egli ascolta qualcosa che nessun altro sente, proprio mentre tutto tace lui è totalmente concentrato sul sentire. Allora ho intuito che quei silenzi erano il luogo segreto dove incontrare il Tango.
• Ho composto i miei pochi Tanghi partendo da quelle sospensioni. Il primo, Fueye - 3 minuti per Astor (EnsembleNuovaArmonia, Roma 1997, Ed. Ricordi), dal nome con cui a Buenos Aires chiamano il polmone che dà il respiro: il mantice del Bandoneón. Un breve giro di Tango in cui, in omaggio ad Astor, gli elementi della danza scaturivano da un frammento strawinskyano.
Poi il secondo in Stock-ZONE TakuHon (TeatroStudio - MilanoMusica1999). Quasi alla fine, ad un tavolo si ritrovano un Violoncellista e un Percussionista. Attaccano, Cello e nocche sul tavolo, due file di Archi sulle sponde di un fiume e due ballerini nel mezzo -sì, nell'acqua, nel pieno della scrittura- a lottare contro una melodia di pause, tra le quali si fanno strada le prime note, e poi sempre più Tango sino al culmine.
• Quindi il terzo Tango, nato dal secondo come un ponte tra oriente e occidente: TEI per Koto e Pianoforte (TheaterWinter, Tokyo2000). E' inserito in una Suite in cui ogni pezzo è separato da un "tei", termine con cui in alcuni testi cantati Heian si indicavano i respiri scritti alla voce. Non più Bandoneón quindi, ma certo un'altra forma di respiro, dove i graffi delle unghie e i colpi sulle corde danzano col Piano nero.
Scrivo in due quarti, perchè il tango che da bambino sentivo cantare da mia madre, tra sé mentre riordinava, era in due. Cantava senza danza, camminando più veloce del tempo, fermandosi quando serviva alle mani e non nelle pause. Anzi, nelle pause introducendo un discorso, o chissà, pensieri. Anche questo, si sente, è un tango, un tango canzone non ancora composto. Al prossimo compleanno glielo scrivo.
Individuare le origini del Tango è impresa ardua e improbabile: troppo labili le tracce lasciate dai protagonisti, troppo numerosi i vincitori saliti sul carro a rivendicarne la paternità, troppo forte la visione cinematografica sentimentale secondo cui il tango sarebbe nato nelle periferie malfamate, in particolare alla Boca del Riachuelo, per i meriti fotografici del posto. Una verità indiscussa, assiomatica da romanzo di appendice dove il povero e umile tango, inizialmente messo al bando dai salotti buoni della borghesia di Buenos Aires, ne verrebbe finalmente adotto solo dopo il 1910 buon esempio di Parigi, che si sa, fa sempre tendenza, moda e buone maniere.
Evaristo Carriego lo ha scritto nelle sue Messe eretiche:
Per la strada, la brava gente fa spreco di parole cenciose e lusinghiere, perché al ritmo di un tango, La morocba, fanno mostra di gran ballo due orilleros.
In un'altra pagina di Carriego viene descritta, con profusione di tristi dettagli, una misera festa di matrimonio; il fratello dello sposo è in carcere, ci sono due giovanotti attaccabrighe che il guappo deve calmare con minacce, ci sono diffidenza e rancore e rozzezza, ma ...
Lo zio della sposa, che si crede obbligato a controllare se il ballo prende una buona piega, avverte, quasi offeso, che non si ammettono tanghi, neanche per scherzo...
Ché, modestia a parte, non gliela dà a bere nessuno di quei furbi... certamente. La casa sarà povera, è chiaro, tutto quel che volete, ma onorata.
Quest'uomo effimero e severo che i versi ci lasciano intravedere esprime molto bene la prima reazione del popolo di fronte al tango, «quel rettile da lupanare», come lo avrebbe definito Lugones con sdegnosa laconicità (Elpayador, pagina 117). Ci mise molti anni il Barrio Norte a imporre il tango ‑ ormai reso decoroso da Parigi, bisogna dirlo ‑ alle classi popolari, e non so se ci sia riuscito del tutto. Una volta era un'orgiastica diavoleria, oggi è un modo di camminare.
Anche Borges non ha saputo trattenersi dallo svolgere delle ricerche su questo “interessante prodotto suburbano” andando a parlare con José Saborido, autore di Felicia e di La morocha; con Ernesto Poncio', autore di Don Juan; con i fratelli di Vicente Greco, autore di La viruta e di La Tablada; con Nicolás Paredes, che fu capoccia di Palermo, e con qualche cantastorie di sua conoscenza. Interrogati sull'origine del tango, senza formulare domande che suggerissero determinate risposte, ne è emersa una topografia e persino una geografia delle informazioni singolarmente diversa dall’edulcorata immagine hollywoodiana. Saborido (che era uruguayano) ha preferito farlo nascere a Montevideo; Poncio (nato nel quartiere di Retiro) ha optato per Buenos Aires e per il suo quartiere; i portegos del Sud della città hanno invocato calle Chile, quelli del Nord calle del Temple, strada di meretrici, o calle Junín. Nonostante tali divergenze gli informatori borgesiani concordano su due punti essenziale: la nascita del tango nei bordelli e la data di nascita, per nessuno era di molto anteriore all'Ottanta o posteriore al Novanta. La composizione originaria delle orchestre ‑ pianoforte, flauto, violino, piú tardi bandoneón ‑ è prova del fatto che il tango non poteva essere nato nelle orillas, le quali si accontentarono spesso e volentieri delle sei corde della chitarra. Non mancano ulteriori conferme: la lascivia del ballo, la connotazione evidente di certi titoli, El choclo (La pannoccbia), Elfierrazo (Il coito), il fatto che a Palermo e poi nella Chacarita e a Boedo, che lo ballassero agli angoli delle strade soltanto coppie di uomini, perché le donne del popolo non volevano compromettersi in un ballo da persone viziose. Una cosa da guappi, da “uomini d’onore” in cui la danza lasciava facilmente il posto al gioco dei coltelli. Un’indole rissosa spesso accultata e nascosta dalla sua natura sensuale, per Borges è pur vero che si tratta di due modi o manifestazioni di un medesimo impulso, tant'è che la parola uomo (in latino vir) indica potenza sessuale e potenza bellicosa, e la parola virtus, che in latino vuol dire coraggio. Nel tempo questa indole si è persa, il coltello è scomparso e la musica e il ballo hanno sublimato l’aggressività in erotismo e arte, la musica è volontà, è passione. Il vecchio tango, in quanto musica suole trasmettere in modo diretto quella bellicosa allegria ancestrale rivelandoci un passato, forse e anche personale che fino a quel momento ignoravamo, e che ci muove a piangere sventure mai subite e colpe che non abbiamo mai commesso.
Questa prima master-class monotematica è incentrata sulla figura e l’opera di Francisco Tárrega e si articola nelle due giornate di sabato e domenica 2-3 maggio 2009 con le scadenze orarie indicate in locandina. Nella prima giornata gli iscritti effettivi presenteranno brani del repertorio tarreghiano liberamente scelti che verranno ripetuti in una lezione di verifica nella seconda giornata.
Le domande di partecipazione, da inviare via mail dovranno pervenire entro il 27 aprile 2009 al seguente indirizzo: mauro.storti@fastwebnet.it. Saranno ammessi 5 partecipanti effettivi mentre non è fissato alcun limite al numero di uditori.
Le quote di partecipazione, da versare nella mattina del sabato, sono di € 50 per gli effettivi e di € 20 per gli uditori.
L’ingresso al concerto serale del M°Angelo Barricelli è gratuito.
A tutti gli iscritti verrà conferito un attestato di partecipazione.
Alloggi in prossimità della sede del Corso: LA PAVESA, via Manara Negrone, 5 - tel.0381.83.637; BELLA NAPOLI, Corso Milano, 40 - tel. 0381.71.194.
CHAHACK chaconne hack for Guitar or any other instrument-ensemble and audiotrack • chaconne under hack, intrusione nella ciaccona per eccellenza, “per sonar con ogni sorta di stromenti”. Questa ciaccona è in movimento, viene deviata, assorbe le più variegate esperienze sonore come in un viaggio. Ma non è un viaggio. E’ la porta di ingresso in un flusso di vicissitudini acustiche, uno streaming di idee con dedica: dedicata ai gesti dei musicisti, agli atteggiamenti esecutivi, alle libertà di interpretazione, cercando il limite tra le possibilità segnate in partitura e quelle non ancora accadute o lette tra le righe.
Vivace, nel senso di incessantemente vivo: un flusso manipolabile di evocazioni danzanti -le danze ci obbligano a non divagare- in una partitura ricreata ogni volta dalla vivacità dei suoi segni. mp
“Siccome non avevo avuto alcuna istruzione formale, per me tra Lightnin’ Slim, il gruppo vocale dei Jewels (che ai tempi cantavano Angel In My Life), Webern, Varèse o Stravinskij non c'era differenza. Per le mie orecchie ERA TUTTA BUONA MUSICA.” Frank Zappa
3. Gli studi sulla musica popolare, in Italia, non sono né una novità né una rarità. Che la canzone, il pop, il rock, la musica del cinema, della televisione, della pubblicità, e gli altri generi che insieme formano il campo musicale definito popular dagli anglosassoni, che questa musica “leggera”, “di consumo” potesse essere presa sul serio, esaminata, interpretata, analizzata, in Italia si è cominciato a pensarlo, a discuterlo, a farlo, almeno fin dalla prima metà degli anni sessanta. Le spinte che confluivano in questo dibattito erano diverse e fra loro eterogenee: il boom economico e l'emergere dei giovani come categoria di consumatori, l'espansione dell’industria discografica e della televisione e le conseguenti preoccupazioni per la massificazione della cultura, lo scontro politico in una fase sospesa tra guerra fredda e disgelo, una certa visione culturale (e politica) che vedeva il “popolare” come sinonimo di “genuino” e il “colto” come sinonimo di “artefatto” o peggio “borghese”. Erano gli anni dei cantautori e di Bella Ciao (lo spettacolo che scandalizzò l'Italia benpensante riscoprendo il canto popolare), erano gli anni dei Beatles e dei Ferienkurse di Darmstadt (culla della musica d'avanguardia), erano gli anni in cui si pubblicavano gli scritti di Adorno sulla musica e quelli di Umberto Eco sui fumetti e la pubblicità. E su La canzone di consumo. E’ questo il titolo di un saggio inserito nel 1964 in Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, un libro che generò allora le stesse reazioni giornalistiche (tra lo stupefatto, lo scandalizzato, il compiaciuto) che ancora oggi ‑ a più di trent'anni di distanza ‑ si riscontrano ogni volta che si scopre che in qualche università (alla Sorbona, a Liverpool, a Berlino, o a Bologna, a Roma, a Trento, a Lecce) qualcuno si occupa seriamente del rap, dell'estetica dello studio di registrazione, della funzione del backbeat di rullante nel rock'n roll, della forma‑canzone. Il breve saggio di Eco, e il libro del quale era originariamente un commento (M.L. Straniero, S. Liberovici, E. Jona, G. De Maria, Le canzoni della cattiva coscienza, Bompiani, Milano 1964) anticipano di almeno cinque anni le prime riflessioni estetiche e sociologiche pubblicate negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, così come il dibattito di cui fu protagonista il Nuovo Canzoniere Italiano (insieme a vari studiosi e critici, come Roberto Leydi) precede quello, per molti aspetti analogo, da cui nacquero libri come The Sound of Our Time di Dave Laing (Sheed and Ward, London 1969), o The Aesthetics of Rock di Richard Meltzer (Something Else Press, New York 1970), considerati fra gli antesignani degli studi sulla popular music nel mondo anglosassone. Da allora non si è mai smesso ‑ nel nostro paese ‑ di discutere e di riflettere a vari livelli di profondità e con diversi strumenti disciplinari (dall'emomusicologia alla critica letteraria e ideologica, dall'economia politica alla semiotica, dalla sociologia alla musicologia in senso stretto) di canzone, di rock, di popular music. L’esperienza emomusicologica e politica del Nuovo Canzoniere Italiano e dell'Istituto De Martino è confluita in quella de “I giorni cantati”, rivista nella quale protagonisti del dibattito degli anni sessanta e settanta (come il direttore Sandro Portelli, Cesare Bermani, Franco Coggiola, Giovanna Marini) si sono uniti ad altri (Massimo Canevacci, Ambrogio Sparagna, Felice Liperi, e altri ancora) per affrontare vari aspetti della dimensione urbana e industriale della popular music; la ricerca di un confronto fra musicisti, studiosi e pubblici appartenenti a generi diversi, tipica delle iniziative di "Musica/Realtà" dei primi anni settanta, è continuata sulla rivista omonima, diretta da Luigi Pestalozza, che ha mantenuto in tutti i numeri una presenza costante di saggi sulla popular music, contribuendo in modo determinante a creare contatti fra studiosi italiani (Nemesio Ala, Alessandro Carrera, Umberto Fiori, Emilio Ghezzi, Paolo Prato, me stesso) e stranieri (Richard Middleton, Philip Tagg, John Shepherd, Dave Laing, lain Chambers, Shuliei Hosokawa, e altri); né si può dimenticare 'Laboratorio Musica", la rivista diretta da Luigi Nono, che diede numerose occasioni per riflessioni approfondite sulla canzone e sul rock; altre riviste, come "Musiche" e "Auditorium" hanno affiancato alla cronaca, alle recensioni, alle interviste (spesso fonti di informazioni preziose, anche per il grande rigore della documentazione) dibattiti e saggi importanti; il Club Tenco ha organizzato ‑ oltre alle note rassegne della canzone d'autore ‑ convegni e dibattiti, e alcuni dei suoi principali sostenitori, come Mario De Luigi, Enrico De Angelis, Sergio Sacchi, sono tra i più attivi commentatori della canzone e della sua industria Inoltre, diverse sono le università italiane nelle quali ci si occupa con continuità (anche se in vari modi e a vario titolo) di popular music; tra i docenti, oltre al già citato Portelli a Roma, Mario Baroni, Gino Stefani, Franco Minganti e Roberto Leydi a Bologna, Rossana Dalmonte e Gino Del Grosso a Trento, Gianfranco Salvatore a Lecce, mentre sta crescendo una generazione di studiosi laureatisi con tesi intorno alla popular music o che su di essa hanno dato contributi importanti (come Luca Marconi, Roberto Agostini, Vincenzo Perna). Esiste dal 1983 una sezione italiana della International Association for the Study of Popular Music (iAspm), che pubblica un bollettino di informazione ("Vox Popular,'). La iAspm italiana fa parte (insieme ad altre società musicologiche) del Gruppo di analisi e teoria musicale, e ha collaborato all'organizzazione del Secondo convegno europeo di Analisi musìcale del 1991, un'intera sessione del quale era dedicata alla popular music. Nel 1995 si è tenuto all'Università di Trento un convegno su Analisi e canzoni, con la partecipazione di un gran numero di studiosi italiani. Insomma, nonostante l'occasíonale cronista si stupisca che il rock possa essere oggetto di studio, nonostante sia ancora difficile convincere un editore che un'analisi della canzone Fernando degli ABBA possa essere altrettanto rigorosa e interessante per il pubblico dei lettori musicofili di una dissertazione sulla forma ABA del Lìed romantico, gli studi sulla popular music in Italia godono di una certa tradizione, diffusione e rispetto (ne siano una testimonianza, in questo volume, i numerosi riferimenti bibliografici e il trattamento di particolare attenzione nei confronti di alcuni studiosi, soprattutto Gino Stefani).
Vedi Franco Fabbri da “Studiare la popular music” di Richard Middleton, Feltrinelli 2001
Canto in Re. La gara a chitarra nella Sardegna settentrionale Paolo Angeli ISRE 2006 239 pagine + 5 cd
Scrive Paolo Angeli nell’introduzione del suo libro, citando Roberto Peydi ”… la tesi è solo il punto di partenza della tua ricerca. Le ricerche più belle sono quelle che durano una vita” e questa frase, assolutamente non banale, sembra non solo una valida rappresentazione delle oltre 240 pagine e spartiti che compongono il libro e dei 5 cd che lo accompagnano idealmente e fisicamente, ma anche una semplice ed elegante definizione del percorso musicale che Angeli ha iniziato a percorrere con originalità e coerenza da diversi anni. Al Paolo Angeli musicista e chitarrista abbiamo dedicato uno speciale sul Blog, qui invece ci occupiamo del risultato delle sue ricerche etnomusicali sulla musica popolare sarda: il volume storico analitico “Canto in Re. La gara a chitarra nella Sardegna settentrionale” sul Canto a Chitarra, accompagnato da un cofanetto di 4 CD (più un quinto ospitato all’interno del libro) con incisioni datate tra il 1930 e il 1967. Risultato di una ricerca che immagino essere ancora in divenire e iniziata nel 1993 in Sardegna e proseguita successivamente al DAMS di Bologna, condotta sia sul campo – intervistando e registrando i vecchi e i giovani cantadores e chitarristi e apprendendo le tecniche dell’accompagnamento con la chitarra – sia in archivio – nell’Archivio Mario Cervo, la più importante collezione al mondo dedicata alla musica sarda, che custodisce gran parte del materiale fonografico edito inerente al repertorio tradizionale registrato tra il 1922 e il 1997. La cosa che mi ha più colpito del libro non è stata solo la perizia e la profondità con cui viene narrata la storia del Canto a Chitarra sardo e il suo sviluppo nel corso del Novecento, ma soprattutto la capacità dell’autore di mettere in luce le affascinanti origini popolari di questo genere e le sue vicissitudini e le trasformazioni dagli stazzi di campagna all’“urbanizzazione”, dalle proibizioni di cantare, subite durante il fascismo, agli “strani” incontri con le orchestrine rock’n’roll nelle feste di paese durante il boom economico, dalle prime apparizioni nelle trasmissioni radiotelevisive al Cagliari campione d’Italia, dagli anni del “folk revival” fino ai giovani cantori tuttora in attività. Da sottolineare inoltre le oltre 30 pagine di spartiti di trascrizioni dei vari brani del repertorio popolare. Qui si è lontani da qualsiasi forma di paternalismo, di nostalgia, di massificazione culturale ma si respira solo passione, affetto e tanta tanta competenza musicale. Ben fatto!
2. Tutte queste quattro categorie sono legate a interessi specifici e, almeno per quanto mi riguarda, nessuna di esse è sufficiente.
La prima (musica popolare come tipo di musica inferiore) si basa su criteri arbitrari la cui dimostrabilità è tutta da verificare.
La seconda (musica popolare è musica che non sia qualche altro genere di musica) è insufficiente per quanto riguarda le delimitazioni ‑ laddove è impossibile stabilire confini netti fra “folk” e “popolare” e tra “seria” e “popular” ‑ e tende anch'essa a basarsi su criteri arbitrari per definire il complemento “populare”. Per esempio, la musica "seria" è comunemente considerata "complessa", "difficile", di natura "impegnativa"; la musica popolare dovrebbe essere quindi definita come "semplice", "accessibile", in una parola: “facile”. Ma molti brani musicali comunemente considerati “seri” (l'Hallelujah Chorus di Hándel, molti Lieder di Schubert e molte arie verdiane) sono di grande semplicità; per contro, non è assolutamente scontato che i dischi dei Sex Pistols siano "accessibili", che la musica di Frank Zappa sia "semplice" o quella di Billy Holiday "facile".
La terza categoria (musica popolare come connessa a un particolare gruppo sociale) è inadeguata perché le pratiche e i generi musicali, anche quelli legati alle minoranze più estreme, non potranno mai essere limitati a particolari contesti sociali. Lo confermano la mobilità sociale e l'instabilità a livello di classe odierne, come anche il carattere sempre più omogeneo della diffusione dei media e del mercato culturale. Ma anche nel XIX secolo le canzoni da salotto e i motivi del teatro "borghese" erano ascoltati e riprodotti da molti lavoratori, che inoltre avevano modo di ascoltare la musica "seria" eseguita da bande e in concerti all'aperto, mentre la proprietà della canzone “folk” era disputata fra Il contadini", operai, scrittori e artigiani piccolo‑borghesi e collezionisti aristocratici. Da un punto di vista più teorico, in qualsiasi momento della storia, il campo musicale e la struttura sociale, anche se chiaramente collegati, costituiscono due "rnappe" diverse dello spazio socio‑culturale, e una non può essere ridotta matematicamente all'altra.
La quarta categoria (musica popolare in quanto tale perchè diffusa dai mass media e/o in un mercato di massa) è anch'essa insufficiente, e questa volta per due ragioni. Lo sviluppo dei metodi di diffusione di massa (prima la stampa, poi l'elettromeccanica e infine l'elettronica) ha condizionato tutte le forme musicali, e tutte possono essere considerate oggetto di consumo; se la distribuzione capillare di una registrazione di una sinfonia di Beethoven (vedi la vecchia pubblicità del brandy Etichetta Nera”) fa sì che quest'opera diventi “musica popolare”, allora questa definizione è a dir poco inutile. Inoltre tutte le forme di quella che viene generalmente considerata musica populare possono per principio essere diffuse con metodi diretti (per esempio i concerti) e non attraverso i mass inedia, e tutte possono essere gratuite, o anche strutturate a livello di una partecipazione collettiva, piuttosto che essere vendute come un oggetto di consumo (vedi determinate scene musicali caratterizzate da una vera allergia ai mass media. Il dibattito è quanto mai aperto e caratterizzato da una grande confusione di fondo: Piazzolla è “colto” o “popolare”? Ha studiato con Ginastera e la Boulangier, ma ha un approccio anti accademico, suona una musica che è nata nei bordelli ma l’ha elevata a colonna sonora universale. Steve Reich è un compositore che trae spunti dalla musica popolare africana e ebraica, non viene dall’accademia ma è suonato dai più importanti ensemble contemporanei. Il premio Oscar alla carriera Ennio Morricone è un compositore per musiche di film western? Un eccellente improvvisatore? Un genio contemporaneo? La mappa e il territorio che rappresenta mi sembrano quanto mai difficili da rappresentare in termini precisi, netti e definitivi. Ai posteri.......
Vedi “Studiare la popular music” di Richard Middleton, Feltrinelli 2001
1. Questa domanda, solo in apparenza ingenua, si è dimostrata essere nel tempo così enigmaticamente complessa che si è tentati di seguire l'esempio della leggendaria definizione della canzone folk ‑ "tutte le canzoni sono canzoni folk; non ho mai sentito un cavallo che le cantasse" (il termine folk in questo caso è inteso nel suo significato principale di "gente") e suggerire che tutta la musica sia popular music, nel senso che è gradita (“populare”) almeno a qualcuno. Personalmente ho sempre pensato che questa definizione ha sia il difetto di svuotare il termine di gran parte dei significati di cui è investito nel discorso corrente, ma anche il merito di andare a toccare una delle tante fonti di questi significati: ciò che è “populare” per me non lo è necessariamente per te. Ne consegue che tutti questi significati sono radicati socialmente e storicamente: essi portano il segno di particolari contesti e usi, e non sono mai neutrali. Una minima "archeologia" del termine generale "popular" rivela sia la molteplicità delle sue connotazioni sia alcuni dei movimenti storici che si sono associati a queste ultime: ha a che fare con il “popolo” (ma chi è e chi non lo è?), anche se spesso nel senso di vulgus, della gente comune, e quindi con un senso (spregiativo) di qualità inferiore o che soddisfa gusti volgari. Sotto l'influenza di un'ideologia democratica invece, tale significato si può capovolgere, e “populare” può diventare un termine di legittimazione, come nel caso dell'America postrivoluzionaria. Un altro signíficato, nel senso di “favorito” (ma da chi poi?) diventa predominante, perlomeno in Gran Bretagna, verso la fine del XVIII secolo, mentre nel secolo seguente questo significato si avvicina di più ad "apprezzato" (cioè giudicato valido ‑ ma da chi sempre?). Anche l'uso positivo di questo termine riferito alla classe sociale (una cosa populare in quanto prodotta specificatamente dal ceto basso) inizia in questo periodo, e diventa uno dei sensi più frequenti nel nostro secolo. Nella musica, l'uso quantitativo ("favorito") sembra essere emerso nel XVIII secolo, insieme allo sviluppo di un mercato commerciale (borghese) di prodotti musicali; e nella prima metà del xix secolo, quando le canzoni per il mercato borghese (comprese quelle che adesso chiameremmo canzoni da salotto) venivano descritte come canzoni populari, ciò significava che erano un buon prodotto (e cioè erano apprezzate dalle persone la cui opínione contava). Sopravvivevano comunque anche le vecchie connotazioni e, durante il xix secolo, con l'impatto del Romanticismo, le canzoni populari potevano essere sinonimo di canzoni “contadine”, “nazionali” e “tradizionali”. Più tardi nello stesso secolo, il termine “folk” sostituiva questi significati legati al populare, che passava invece a descrivere i prodotti del music hall e poi quelli di produttori di canzoni per il mercato di massa come Tin Pan Alley e il suo equivalente britannico (il San Remo nostrano?). Nel xx secolo, molti di questi significati coesistono e si intrecciano in diversi usi del termine. Frans Birrer li ha riassunti a seconda delle loro categorie principali, che possono esistere di per sé o combinate tra loro:
1) Definizioni normative. La musica popolare come tipo di musica inferiore. 2) Definizioni negative. La musica popolare è musica che non sia qualche altro genere di musica (generalmente musica “folk” o “seria”). 3) Definizioni sociologiche. La musica popolare è connessa (è prodotta per o da) a un particolare gruppo sociale.
4) Definizioni tecnologico‑economiche. La musica popolare è diffusa dai mass media e/o in un mercato di massa.
Merzbow, al secolo Masami Akita, è uno dei maestri di un genere musicale che ha in Europa la sua culla ma che in Giappone ha visto maturare veri e propri geni musicali. Padre assoluto del noise più violento ed ermetico, Merzbow è uno dei pochi artisti al mondo a poter vantare al suo attivo più di 200 lavori, tra collaborazioni, uscite discografiche e remix. Nato a Tokyo nel 1956, Merzbow ha un aspetto pacato e pulito, in netto contrasto con ciò che evoca la sua musica. Acceso sostenitore dell'erotismo e del bondage sex a cui fa esplicite allusioni in molti lavori, è il maestro del rumore, capace di ottenere in otto minuti di struscii, urla, scricchiolii e stridii una melodia violenta ma trascinante che evoca tutto ciò che di oscuro c'è nell'animo umano. Una canzone di Merzbow non è per tutti, soprattutto non per chi ha orecchie delicate abituate al silenzio. I rumori si mescolano tra loro, altissimi e incessanti, senza nessun filo apparente. Il silenzio è il momento di angoscia più alta.
Gli Einstürzende Neubauten sono tra le band più importanti e significative del movimento industrial, che sconvolse la scena musicale europea (e non) tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli anni 80 (altri gruppi di riferimento: Throbbing Gristle, Nurse With Wound). Nello specifico, la cifra espressiva degli Einstürzende Neubauten consisteva nell'utilizzo di strumentazioni atipiche, comprendenti martelli pneumatici, lamiere metalliche, tubi flessibili, compressori e altri elementi capaci di creare un suono alienante, ricco di dissonanze, rappresentativo della moderna civiltà industriale: da questo punto di vista le opere maggiormente significative del gruppo sono Zeichnungen Das Patienten OT e Halber Mensch, caratterizzate da angoscianti incubi pischici che attingevano dal rumorismo ma anche dalle avanguardie teatrali europee di inizio 900.
CLAUDE NEUBAUTEN - Blume
Einstürzende Neubauten - from the film "1/2 Mensch"
( Teatrino Campana, ore 21.15 – p.za Dante, infoline 071714822 –071714436, ingresso 5 euro) Il 25 marzo prossimo alle 21.15 il TRIO TALLINI sarà ad OSIMO (Teatrino Campana, ore 21.15 – p.za Dante, infoline 071714822 –071714436, ingresso 5 euro) per la rassegna jazz TRA LE QV7INTE con I MUSIC FOR YOU- SUONI E PAROLE DELL’AMORE: un concerto di particolarissima suggestione su musiche di Stefania e Arturo Tallini, ma non solo, che ripercorre sui suoni di chitarra, voce e voce recitante, le suggestioni delle grandi parole e musiche per amore. In definitiva: una jazzista, un chitarrista e un attore hanno deciso di dare vita a questo spettacolo, in cui l’improvvisazione fa da filo conduttore a momenti di musica classica, di gioco musicale o di puro monologo. Il tutto condito con ironia da tre artisti che fanno della diversità della loro provenienza la forza di questo trio. Le poesie d’amore da Neruda a Pasolini a Ikmeth, raccontano il desiderio e le passioni degli uomini e la musica, vi aggiunge uno sfondo fantastico e visionario.
TEATRO DANTE Piazza Dante, 23 - Campi Bisenzio (FI) - tel. 055.8940864 Apertura: martedì, venerdì e sabato dalle 16,00 alle 19,00 I giorni di spettacolo a partire da un’ora prima dall’inizio dello spettacolo
Prima parte I. ALBENIZ: Granada Asturias D. SCARLATTI: Quattro Sonate J. S. BACH: Suite in BWV 1012 in RE magg. Prelude Allemande Courante Sarabande Gavotte I Gavote II Gigue
SECONDA PARTE A. BARRIOS: Sei pezzi: Una limosna por el amor de Dios Cueca Junto a tu Corazon Vals Vals in re minore Danza Paraguaya Sueno en la Floresta R. BEASER: Shenandoah N. PAGANINI: Tre Capricci
Dj, scena Illbient newyorkese, esperto di Xenakis, lettore al Mit, considerato l'intellettuale semiologo per eccellenza delle ruote di metallo, nel 1999 realizza assieme al Freight Elevator Quartet il pregevole disco "File under Futurism". Torna in ambito Futurista quest'anno a Milano per le manifestazioni sul futurismo lavorando all'insonorizzazione della scultura di Italo Rota ispirandosi direttamente all'intonarumori di Luigi Russolo.
Il concerto del Logos al conservatorio di Latina è stato annullato.Il giorno 8 aprile si svolgerà comunque in quella sede un seminario con i musicisti del Logos dalle 10 alle 13.
La manifestazione avverrà con il cambio di data e luogo : 20 aprile 2009 a Madrid.
Musica contemporanea Italiana e Spagnola
Logos ensemble
mercoledì 8 aprile 2009 20.00 - 23.00 Conservatorio di Latina Via Ezio, 32 Latina, Italy
Programma:
Mauro Bortolotti: “Foglie” Daniel Zimbaldo: “Cartas desde el Real Hospital de Lunaticos”
5. L'intonarumori era composto di scatole voluminose nelle quali veniva prodotto il rumore girando una manovella: a seconda della velocità con cui si girava, si incrementava o diminuiva l'intensità del rumore. Il rumore a sua volta veniva intonato attraverso una leva che tendeva una membrana e amplificato da una tromba acustica simile a quella dei vecchi grammofoni. Si trattava cioè di generatori di suoni acustici che permettevano di controllare la dinamica, il volume, la lunghezza d’onda di diversi tipi di suono.Questa riproduzione dei rumori portò ad una loro classificazione: Russolo arrivo' a costruire una ventina di diversi intonarumori divisi in: gorgogliatori, crepitatori, urlatori, scoppiatori, ronzatori, stropicciatori, sibilatori, scrosciatori, ciascuna delle quali comprendeva a sua volta vari registri: soprano, contralto, tenore e basso. Anche la scrittura della musica venne modificata per meglio adattarsi al suo nuovo linguaggio: anziché punti che indicano note, righe continue, che rappresentano, nell'alzarsi e nell'abbassarsi, l'emissione del rumore: le prime innovazioni nel campo semiografico della rappresentazione del testo musicale che proseguiranno nel corso del secolo con le idee di Cage e Stockausen.Il ruomorarmonio, costruito successivamente, permetteva invece, attraverso una tastiera e due pedali, di regolare intonazione, intensità e scelta del rumore.
mercoledì 25 marzo 2009 17.00 - 19.00 Conservatorio di Venezia c/o Palazzo Pisani San Marco 2810 30124 Venezia
Concerto con i migliori allievi della classe di chitarra classica del Maestro Florindo Baldissera.
Programma Anthony Holborne Fantasia 1540-1602
Francis Cutting Galliard 1583 c.-1603
Lisa Novello V corso John Dowland A Fancy 1563-1626
Vittoria Bastanzetti VIII corso Silvius Leopold Weiss Allemande – Courante 1686-1750
Giorgia Sardina V corso Johann Sebastian Bach Andante – Allegro BWV 1003 1685-1750
Francesca Naibo VII corso Mauro Giuliani Adagio con grand’espressione 1781-1829 (dalla Sonata op. 15) Mathilde Chiappone IX corso Heitor Villa Lobos Preludi n. 3 – 2 1887-1959
Michael Fiorin III anno, triennio Heitor Villa Lobos Studio n. 1 – Chôro n. 1 Diletta Bibbò VII corso Heitor Villa Lobos Studio n. 11 Joaquin Turina Sevillana op. 29 1882-1949
Dario Sonego VIII corso Antonio José Sonata 1902-1936 Allegro moderato - Final Giacomo Costantini I anno, biennio didattico Dušan Bogdanović Andante – Allegro (1954) (dalla Jazz Sonata) Francesco Semenzato VII corso Roland Dyens Libra Sonatine (1955) India (Allegretto) – Largo – Fuoco (Vite et rhytmique) Marco Galliolo VII corso Mario Castelnuovo Tedesco Sonata op. 77 “Omaggio a Boccherini” 1895-1968 Allegro con spirito – Andantino quasi canzone – Tempo di Minuetto Leonardo De Marchi IX corso
Il 29 marzo 2009, alle ore 11, verrà inaugurata a Venezia nella sede di IKONA PHOTO GALLERY in Campo del Ghetto Nuovo la mostra:“Archeologia dei sentimenti”, fotografie di Enzo Carli. Enzo Carli, affettuoso allievo di Mario Giacomelli, sociologo, giornalista, teorico della fotografia, ( è tra i Soci fondatori con Giacomelli, Berengo Gardin del Manifesto:Passaggio di frontiera”) è fotografo per necessità. Vive a Senigallia. “Carli opera sui processi mentali in una creatività aperta come analisi. Esperimenta situazioni limite frammentando il reale,analizzandolo, riproducendolo come progetto dell’inconscio. Fotografare per lui diventa il linguaggio della possibilità, la qualità, la chiave di lettura dell’atto creativo in un sistema concettuale. Ribalta i valori tradizionali negando all’immagine il senso accademico: Le immagini si aprono l’una dentro l’altra come dinamica del pensiero dove movimento e luce sono istantaneità e durata in uno svilupparsi di significati” (Mario Giacomelli, 1991)“L’occhio del fotografo insegue tutto ciò che può interessarlo in quanto occhio. Da qui tutti i soggetti si equivalgono, l’unica differenza sta nella qualità visiva del risultato, il momento vissuto attraverso lo sguardo.Le immagini di Enzo Carli non ci raccontano alcuna storia e il loro significato non ci riporta quasi a niente. La loro forza consiste nel ricondurci a quella parte di noi stessi capace, in qualsiasi istante, di farci vedere il mondo come una meraviglia inattesa. A volte nell’occhio di Carli, la realtà si appoggia su sé stessa, riposa nel suo equilibrio, si armonizza. Così come esiste una logica tra parole e idee, esiste una logica tra le forme che ci appaga altrettanto profondamente. Nella fotografia queste forme sono costituite da ombre e luce e l’universo intero può rivelarsi attraverso queste soluzioni. Infinite possibilità attraverso le quali il fotografo sorprende e coglie l’istante favorevole, che poi condivide con gli altri.Carli coglie ciò che di solito sfugge ai nostri sguardi distratti, costantemente rivolti verso l’utile e non verso la realtà dell’essere”. ( Jean-Claude Lemagny, 2009) La mostra “Archeologia dei sentimenti” è accompagnata da un catalogo con 20 fotografie in bianco e nero e con i testi di Jean-Claude Lemagny e Armando Ginesi.
L’esposizione è curata da ŽIVA KRAUS fondatrice e direttrice di Ikona Photo Gallery dal 1979. LA MOSTRA RESTERÀ APERTA FINO AL 16 MAGGIO 2009 - DALLE ORE 11 ALLE 19 (CHIUSO IL SABATO)
4. Il Futurismo italiano è portatore di una tale carica distruttiva, di una volontà di ricostruire ex-novo, che si può riscontrare, in quell'epoca, solo nelle avanguardie russe. Tra le ragioni di questo comportamento di una certa importanza fu la coscienza del provincialismo della cultura e dell’arte ottocentesca italiana, rimaste ai margini dei grandi movimenti di pensiero europei. Ferma nell’ammirazione di un passato grandioso, trasformata dal turismo in un museo un po' polveroso, l’Italia del tempo dei Futuristi, che è anche l’Italia di Benedetto Croce e di Pirandello, vuole entrare di forza nella cultura europea, con una propria originalità. Marinetti e i suoi amici non ritengono che l’estetismo decadente di D’Annunzio o la politica megalomane di Crispi possano svolgere questa funzione: con intolleranza e con una disposizione di spirito non aliena da totalitarismo - alcuni dei futuristi saranno sostenitori della politica interventista e aderiranno poi al fascismo - i futuristi intendono imporsi a qualunque costo. E non si tratta soltanto di respingere gli stili e le forme, le tecniche tradizionali, ma anche e soprattutto i contenuti dell'arte e della cultura in generale: il futurismo tenderà infatti ad esaltare enormemente il mondo moderno, con le sue città, le industrie, le sue macchine. Famosa è la frase di Marinetti sull’automobile, "più bella della Vittoria di Samotracia". Il macchinismo e l’ansia della velocità che hanno mutato la vita dell’uomo, il suo ambiente, le sue abitudini, sono i nuovi miti futuristi. Nell’impeto rivoluzionario che lo induce a prendere in considerazione le più varie manifestazioni della vita e della cultura, che lo spinge a rifiutare ogni categoria precostituita sta, insieme, il limite del Futurismo e il suo incontestabile valore: limite in quanto i propositi futuristi a confronto con la pluralità degli obiettivi appariranno a volte ingenuamente generici; valore in quanto la pluralità degli obiettivi stabilisce una interdipendenza, uno sconfinamento tra i diversi campi d’azione, del pensiero e dell’arte, che sarà motivo ricorrente nelle avanguardie del Novecento. Per quanto riguarda il rinnovamento del linguaggio figurativo, appare stimolo fondamentale la ricerca della rappresentazione del movimento, dell’energia dinamica, attraverso l’evidenziazione di linee-forza, l’indagine dei rapporti tra oggetto e spazio nella simultaneità dei moti; e se la scomposizione della forma e il geometrismo possono accostare i futuristi ai cubisti, l’uso del colore li distingue fondamentalmente: nei primi è vivace, puro, esuberante, di discendenza neoimpressionista, nei secondi sobrio, tendente al monocromo. Ma la volontà innovatrice del Futurismo si esprime nel modo più possente e coerente nell’attività di Boccioni, concentrata nel breve volgere degli anni tra il 1910 e il 1916, tutta tesa a scoprire del vitalismo futurista i risvolti più profondi, cosmici e drammatici
3. Il primo conflitto mondiale nel quale l’Italia interviene nel 1915, non interrompe immediatamente l’attività comune del gruppo; ma la morte in guerra di Boccioni e di Sant’Elia contribuirà ad affrettare un’evoluzione che già veniva delineandosi; alcuni artisti si accosteranno all’esperienza metafisica come Carrà, altri confluiranno in Novecento, il movimento artistico che alla conclusione della guerra si affermerà come ritorno all’ordine, raccogliendo l’adesione di alcune personalità già attive nell’ambito futurista, come Sironi e Severini, Rosai, Martini e Morandi, oppure daranno vita al cosiddetto secondo Futurismo. Ma se il Futurismo ripiega verso nuove tendenze o rivive in fenomeni di minore rilievo, come l’aeropittura, il suo valore rivoluzionario e la sua azione di svecchiamento della cultura italiana non vanno disconosciuti e la sua fine come movimento coerente non significa il totale abbandono dei suoi obiettivi, alcuni dei quali saranno all’origine dell’esperienza dadaista. Quel che colpisce nel Futurismo italiano è la sovrabbondanza dei testi programmatici, fenomeno che ha il suo equivalente soltanto nell’avanguardia russa, da Malevic a Larionov; e il carattere violentemente polemico e provocatorio dei testi stessi, nei quali la volontà di rottura è manifestata con toni esagitati e perentori. Quali sono le idee-forza che animano i testi futuristi? Anzitutto il Futurismo è rifiuto della storia, rifiuto "di-tutto-ciò-che-precede", e quindi è un modo di guardare al futuro, cancellando, con la storia, le tradizioni dell’accademia lontana e recente: forse si potrebbe dire che il futurismo rappresenta uno sviluppo dinamico dell'impressionismo e soprattutto del neoimpressionismo.
2. In particolare l’arte dovrà esaltare il dinamismo, la velocità, l’energia e l’azione umana, in ogni campo; dovrà sfuggire alla museificazione per rinnovarsi continuamente nei temi e nelle tecniche; dovrà incidere profondamente nel tessuto sociale; dovrà provocare, scuotere, usare violenza psichica e anche fisica (si pensi, ad es., alle movimentate conclusioni delle serate futuriste). Nel corso dell’anno 1909 Marinetti entra in contatto con un gruppo di giovani pittori italiani pronti a elaborare e a praticare in pittura l’idea futurista; essi sono: Umberto Boccioni (1882-1916), Giacomo Balla (1871-1958), Carlo Carrà (1881-1966), Luigi Russolo (1885-1947) e Gino Severini (1883-1966), i quali, nel corso del 1910, aderiscono al movimento e pubblicano il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista. Il gruppo incomincia a organizzare spettacoli di teatro e di poesia, esposizioni di pittura e di scultura; la più importante, quella che lancerà il Futurismo sulla scena internazionale, si apre nel 1912 a Parigi, alla Galleria Bernheim-Jeune, col titolo Les peintres futuristes italiens; verrà in seguito presentata a Londra, Berlino, Amsterdam, L’Aia, Monaco di Baviera e in America. Il pittore Severini, che per alcuni anni aveva abitato a Parigi, contribuisce a stabilire un legame, destinato a colorirsi di toni polemici, tra cubisti parigini e futuristi; anche Guillaume Apollinaire, sempre attento alle novità, s'interessa a loro. Negli anni tra il 1909 e il 1915 il Futurismo vive una vita attivissima e tempestosa, costellata da una serie di prese di posizione teoriche o manifesti, sia nel campo letterario sia in quello delle arti figurative: nel 1912 viene pubblicato il Manifesto della scultura futurista, nel 1914 il Manifesto dell’architettura futurista, firmato da Antonio Sant’Elia (1888-1916), grande architetto e urbanista, e nel 1915 il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, firmato da Balla e Fortunato Depero (1892-1960), per non citare che alcuni tra gli scritti programmatici del periodo. Nel 1913 Marinetti intraprende un viaggio a Mosca, suscitandovi grande interesse e rinsaldando il legame con i circoli dell’avanguardia russa.
1. I termini Futurismo e Futurista hanno assunto oggi un significato generico e l’uso comune li applica indifferentemente a un’architettura, a un mobile, a un oggetto. Un metasignificato abbondantemente utilizzato dal marketing e da certe pose culturali, forte di una identità e di una modernità che gli ha permeso di superare in maniera eccellente il XX secolo di riscuotere sempre nuovi apprezzamenti, idee, connessioni e , cosa più importante, di dimostrare una notevole capacità di adattamento a nuovi ambienti culturali e tecnologici. Ma nel momento in cui il termine Futurismo nacque dalla fertile inventiva di Marinetti, esso avevo un significato e un contenuto preciso e designava un movimento culturale dal programma ben definito: a differenza di altri gruppi e movimenti artistici moderni, come l’Impressionismo, il Fauvismo, il Cubismo che avevano accettato o adottato la definizione loro attribuita dalla critica, spesso poco benevola, il Futurismo si è battezzato da sé e ha diffuso attivamente e con ogni mezzo le proprie idee. Ci troviamo quindi di fronte a un movimento che anticipa di gran lunga determinate scene musicali (industrial, ambient, free jazz) e culturali-mediali (Fluxus) caratterizati fin dall’inizio da una presa di coscienza diretta degli artisti e da un programma pragmatico e evolutivo. Il movimento ebbe il suo animatore in Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), poeta e narratore di duplice cultura, italiana e francese, e buon conoscitore delle scuole poetiche di fine Ottocento, in particolare del Simbolismo, alla cui volontà di rinnovamento fu assai sensibile. Quando nel 1909 Marinetti redige il primo manifesto del Futurismo, pubblicato sul "Figaro" del 20 febbraio, il poeta ha al suo attivo un certo numero di raccolte in italiano e in francese e dirige a Milano la rivista di impronta simbolista "Poesia".In quel Manifesto Marinetti espone un programma violentemente polemico, di integrale rinnovamento della cultura dominante, sulla base di nuovi principi, coerenti con la vita moderna e la società industriale.
Venerdì 27 marzo ore 21 Teatro "R. Binotto" di Villa Correr Pisani via Aglaia Anassillide Biadene di Montebelluna (TV) Ingresso 5 euro Musiche di: J.S. Bach, F. Tarrega, A.J. Manjon, H. Villa-Lobos, L. Torresan Per informazioni: Associazione "Chitarra in Arte" tel 0423 301729
MASTER CLASS
Sabato e Domenica 28, 29 marzo presso i locali del teatro di Villa Correr Pisani a Montebelluna Per informazioni: Associazione “Chitarra in Arte” 3343573265-0423301729
Biadene di Montebelluna (TV)
CONCERTO
Domenica 5 aprile ore 21 Palazzina Liberty Parco di Largo Marinai d'Italia Milano Ingresso 8 euro Musiche di: J.S. Bach, F. Tarrega, A.J. Manjon, H. Villa-Lobos, L. Torresan Per informazioni: Ateneo della chitarra tel. 02 55187286
CONCERTO Gaia Scabbia, flauto Bruno Giuffredi, chitarra
Mercoledì 8 aprile ore 21 Auditorium del Conservatorio di Darfo Boario Terme via Razziche 5 Darfo Boario Terme (BS) Ingresso libero
Musiche di: J. Ibert, N. Arnoldi, P. Cattaneo, V. Vinay, M. Gammanossi, A. Gilardino, A. Piazzolla Per informazioni: Conservatorio di musica di Darfo Boario Terme tel 0364.532904
More information
Video you tube http://www.youtube.com/user/marcovin05 Website www.brunogiuffredi.com Myspacehttp://www.myspace.com/brunogiuffredi
La crisi sembra ormai aver investito in maniera definitiva le case discografiche e la rapida diffusione di mezzi come l’ipod ha trasformato quello che era una normale competenza informatica come il file mp3 in un fenomeno trendy e di design alla portata di tutti e lontano anni luce dalla logica degli hacker e degli appassionati di informatica. Ammettiamolo il cd non se la passa per niente bene e se ne parlate con un quindicenne non vi dovrete stupire se vi guarda con fare interrogativo magari mostrandovi il suo cellulare di ultima generazione dove tiene la sua playlist preferita. Da questo punto di vista anche chi si occupa di musica classica deve cominciare a trarre alcune conclusioni, magari non piacevoli, ma sicuramente pragmatiche. Non è un caso che la gloriosa Deutsche Grammophon abbia aperto nel dicembre del 2007 il suo negozio di musica digitale dove è possibile acquistare mp3 di alta qualità (320Kbps) senza protezioni DRM.
Così come non è un caso che esista fin dal 2002 in Italia una casa discografica interamente on line dove è possibile acquistare musica classica solo in formato digitale: stiamo parlando della OnClassical.
Nata da un’idea di Alessandro Simonetto, la OnClassical presenta alcune caratteristiche interessanti:
1) la musica è suddivisa in album nel senso più tradizionale scaricabili gratuitamente e per intero in formato mp3 a bassa risoluzione e in formato wav a qualità cd (44.1kHz * 16bit) con pagamento di una quota libera decisa dall'utente che parta dai 6 euro. 2) La proposta di sola musica di altissimo livello sia per la qualità degli interpreti sia per i criteri di registrazione. 3) L’adozione di una licenza Creative Commons, non solo sulle musiche ma anche sulle immagini, i testi, le cover. 4) La totale assenza di DRM e di rapporti con la SIAE (OnClassical tratta soltanto musica di pubblico dominio) e la totale assenza di royalties nel licenziare musica a scopi commerciali (nella forma denominata precleared music). 5) La mancanza del supporto cd (packaging) data la totale autonomia di chiunque a masterizzarsi i propri supporti direttamente dai files originali proposti da OnClassical. 6) La possibilità di effettuare da se i propri mp3, ogg, flac per l'uso nel proprio ipod senza incorrere in problematiche sul copyright, anzi, OnClassical supporta la pirateria delle proprie registrazioni a scopi personali e non commerciali. 7) Il progetto dà al musicista la possibilità di distribuire le proprie performance e di divulgare la propria immagine nel web attraverso un contratto non-esclusivo e non-oneroso. La vera novità di OnClassical riguarda i guadagni: per ogni collezione venduta o licenziata per scopi commerciali (vedi musica a commento di film, documentari, video ma anche musica di sottofondo presso hotel, negozi...) ben il 50 per cento dei guadagni va al musicista che l'ha registrata. 8) L’uso di tecniche di webmarketing aggressive: appoggiandosi a un altro suo sito kunstderfuge.com il più grosso portale di internet dove è possibile scaricare gratuitamente file midi di musica classica (un portale con un traffico di oltre 100 gigabytes/mese e una popolarità (rank) soltanto di un punto inferiore a quella dei grandi portali italiani come Libero e Virgilio) con punte di 5000 viste giornaliere. 9) Un catalogo già interessante: tra gli artisti sono presenti Gianluca Luisi (Premio Bach), Giampaolo Stuani (Premio Casella), Luca Fanfoni (Premio Paganini) e la mitica Don Kosaken Chor, formazione storica di fama mondiale, che pubblica e registra unicamente per OnClassical. Vedi: http://onclassical.com/blog/articolo.asp?articolo=19 altri punti espressi qui: http://www.onclassical.com/info.htm 10) Alcuni degli album sono delle vere e proprie prime assolute: è il caso dell'integrale dell'Album per la Gioventù op. 68 di Schumann proposta da Marco Tezza con oltre 70 pezzi in luogo dei tradizionali 43. Vedi: http://www.onclassical.com/artists/tezza/
L’idea è sicuramente interessante e per chi è appassionato di chitarra segnalo il "disco" di Pablo Lentini Riva: Monsieur Blancrocher oltreché l'esperimento di improvvisazione bipartita dei chitarristi Kevin Kastning e Sándor Szabó, Resonance. Vedi: http://onclassical.com/artists/kastning/resonance/
OnClassical è infine promotore assieme ad avvocati e personalità di indiscussa fama per l'abbattimento del contrassegno SIAE, il fatidico bollino bocciato persino dalla Comunità Europea. Il gruppo facebook lanciato da Simonetto ha raggiunto in pochissimo tempo il numero di 5000 iscritti e riscosso la formulazione di un disegno di legge da parte dell'Italia dei Valori. Quando si dice la forza di internet! http://www.facebook.com/group.php?gid=34329889449
Nelle Cinque Giornate di Milano... più di 50 appuntamenti musicali dedicati alla contemporaneità ed alla sperimentazione
FESTIVAL 5 GIORNATE “Milano: Cinque Giornate per la Nuova Musica” QUINTA EDIZIONE -
Milano, 18/22 marzo 2009
Festival di musica classica contemporanea e sperimentale
Direzione artistica: Alessandro Calcagnile e Rossella Spinosacon il Patrocinio della Regione Lombardia - Culture, Identità e Autonomie della Lombardiain collaborazione con: AMIC, ARCI, Arcipelago Musica, Associazione Culturale La Creta, Associazione Amici di Musica/Realtà, Annotazioni d’Arte, Blue Note, Centro Asteria, CIDIM, Conservatorio di Milano, Diabolus in Musica, Fondazione Antonio Mazzotta, IES, Lim, Quintocortile, Rai Trade, Ricordi-Universal, Salsamenteria Verdiana, Scimmie, Sound Metak, Spazio Sirin, Spazio Tadini, Spazio Vivienda Murat, Studio D’Ars, Stradivarius, Suvini ZerboniMedia Partner: Ferrovie Nord
per maggiori informazioni sulla Cello-Guitar vi rimando all'intervista con Christian Saggese: http://chitarraedintorni.blogspot.com/2009/02/christian-saggese-cello-guitar-parte.html http://chitarraedintorni.blogspot.com/2009/02/christian-saggese-cello-guitar-parte_03.html
L'Associazione Rosso Rossini presenta il doppio appuntamento
"Incontri con i Maestri" e “Liuteria in concerto” con il M° Ciro Carbone
Master Sabato 14 e domenica 15 marzo 2009 Concerto Sabato 14 h.19,00 (ingresso libero)
Istituto Colle La Salle Via dell’Imbrecciato n°181 - Roma
Il Corso è rivolto a chitarristi studenti e diplomati che vogliano perfezionare ed approfondire la lettura e l’interpretazione di brani del loro repertorio integrando la conoscenza tecnica del brano con un giusto inquadramento stilistico.
Le lezioni si svolgeranno sabato 14 marzo ore 10,00-13,30/15,00-18,00 e domenica 15 marzo ore 10,00-13,30 presso l’Istituto Colle La Salle, Via dell’Imbrecciato n°181-Roma Ai migliori allievi verrà rilasciato un attestato di merito, a tutti i partecipanti verrà rilasciato un attestato di frequenza.
Il costo del corso per gli allievi effettivi solisti ed in formazioni da camera è di €.80,00 per ciascun componente, mentre per gli uditori è di €.15,00.
La quota di partecipazione dovrà essere versata direttamente presso la segreteria il primo giorno di corso.
I corsisti che avranno ricevuto l’attestato di merito in uno dei corsi di “Incontri con i Maestri” dell’anno 2009 saranno inseriti nella stagione concertistica “Liuteria in Concerto” 2009/10 organizzata dall’Associazione Rosso Rossini.
Durante il corso saranno presentate alcune novità editoriali a cura della Casa Editrice EROM, Edizioni Romana Musica.
TOUMANI DIABATE' The Mande' Variations (World Circuit) 2008
Questo è uno dei dischi più belli usciti lo scorso anno, di una bellezza così semplicemente intensa e lirica da poter migliorare in un attimo la vita di chi lo ascolta. Sto esagerando? Non credo. Questo disco è un capolavoro, un miracolo di equilibrio, creatività e grazia. La musica per kora è uno dei miracoli più intimi e stupefacenti dell’arte africana. Chiunque la ascolti ne resterà incantato, e stenterà a credere che quei suoni possano provenire dalle antiche tradizioni del continente dei tamburi. La kora è un’arpa sulla cui cassa di risonanza, una grossa semi-zucca vuota su cui viene tesa una pelle di capra, viene montato un ponticello e un manico al quale sono fissate le sue 21 corrde. Secondo la tradizione orale la kora è uno strumento antico, che risale ai tempi del primo imperatore del Mali, Soundjata Keita, vissuto nel XIII° secolo. Una leggenda sostiene che fu sottratta a uno spirito femminile nelle grotte di Kansala, nell’attuale Gambia, da Touramakan, un generale di Soundjata della stirpe dei Traore, che in seguito la donò al suo djeli, Djelimaly Oule Diabate. Un’altra leggenda sostiene invece che la kora era in possesso di uno spirito che viveva nel lago Sanementin, nel regno del Gabou, che comprendeva il Gambia, il sud del Senegal e la Guinea Bissau, e che fu trovata da un djeli della stirpe dei Cissoko. Le due leggende assegnano rispettivamente il primato della kora a due delle più importanti famiglie di djeli della regione, ma gli etnomusicologi sono invece propensi a datare l’origine dello strumento tra la fine del 1700 e la metà dell'800. Toumani Diabaté è un djeli, un griot che afferma di rappresentare la 71esima generazione di suonatori di kora della sua famiglia. Suo padre era Sidiki Diabaté, veniva chiamato “il re della kora”, e ha giocato un ruolo cruciale nella fondazione dello stile moderno e nella sua trasformazione da strumento d’accompagnamento a strumento solista. Sia il padre Sidiki che sua madre, la cantante Nene Koita, furono tra i protagonisti della storica Ensamble National Instrumental du Mali nel periodo successivo all’indipendenza, che il Mali ottenne nel 1960. L’eredità che un djeli porta sulle spalle ha un peso enorme, ma esistono casi in cui un djeli particolarmente dotato non solo la sostiene disinvoltamente, ma addirittura riesce ad arricchirla con un contributo personale e nuovo, entrando di diritto in quella storia. The Mandé Variation vola alto ben oltre gli stilemi della tradizione: otto brani per altrettanti otto capolavori, che non derivano né si rifanno al repertorio tradizionale, ma sono pure improvvisazioni senza tema. Toumani spiega che questo è il modo di suonare che lui adotta quando è solo a casa, ed esplora le potenzialità del suo strumento. Come Si Naani, che suona a cavallo tra il jazz – con la sua straordinaria linea di basso – il medio-oriente e la musica minimalista alla Steve Reich e David Nyman, o come Elyne Road, dalla grazia e dalla dolcezza commoventi. C’è persino una citazione di Ennio Morricone, che apre la nuova versione del classico Djarabi, intitolato qui Cantelowes. Ciò che rende l’opera unica è la grande semplicità e raffinatezza nel combinare i vari passaggi sonori, rivisitare le melodie tradizionali dei djeli scavando nelle radici arcaiche senza tuttavia snaturarle anzi arricchendole con altre influenze. Tutto il disco è permeato da momenti di grande intensità e lirismo che lasciano senza fiato: Diabaté dimostra una padronanza assoluta dello strumento improvvisando con una naturalezza disarmante e dettando in contemporanea la linea di basso, accompagnamento e improvvisazione. Territori musicali inediti, dove l’equilibrio tra tradizione e modernità riesce a trovare un importante punto d’arrivo. Un po’ come faceva John Fahey con la sua chitarra, con un’intensità che spazza subito via qualsiasi accusa di virtuosismo gratuito, Toumani Diabatè riesce ad architettare con spontaneità una musica che, senza l’utilizzo di parole, fa parlare e vibrare terra e anima, facendo emergere secoli di culture e tradizioni del proprio paese. “The Mandè Variations” è un album bello e non facile, una preghiera in otto movimenti lontana da qualsiasi moda o tendenza. Lasciatevi affascinare, lasciatevi ammaliare.