Lei ha un curriculum un po' curioso: si è laureato in musicologia a
Bologna con una tesi sulla composizione assistita dal computer, ha
fondato una società di produzione e postproduzione video, ha
studiato musica elettronica alla Scuola Civica di Milano con Alvise
Vidolin, cosa ha voluto dire per lei poter studiare con un insegnante
di quel livello?
Potrà
sembrare un percorso un po’ eclettico ma ho sempre seguito solo due
grandi passioni: la musica e il cinema. Alla Civica arrivai dopo aver
temporaneamente lasciato gli studi universitari a Bologna. Vidolin
proveniva dal Centro di Sonologia di Padova, aveva collaborato con
importanti compositori del dopoguerra come Nono, Sciarrino, Berio,
Battistelli. Rimane la memoria storica dell'informatica musicale
italiana quindi non potevo chiedere di meglio. Con lui facevamo molta
pratica di live electronics su brani di repertorio e ricordo molti
incontri interessanti con compositori e scienziati.
Lei
è stato per studio presso l'IRCAM a Parigi che realtà ha trovato in
quel paese rispetto alla situazione italiana? Che ambiente è l'IRCAM
…?
Il
soggetto della mia tesi di laurea era OpenMusic, software per la
composizione dell’IRCAM, quindi mi sembrò naturale approfondire
gli studi con le stesse persone che contribuirono allo sviluppo del
software. L'IRCAM è una realtà che invecchia ma non ha paragoni in
termini di organizzazione e serietà nella ricerca e produzione. E’
necessario però valutare la necessità di questo tipo di ricerca
oggi. Molte di queste istituzioni tendono ad avvicinare la musica da
un esclusivo paradigma di tipo ingegneristico-cognitivo che ha ormai
fatto il suo tempo. Rimanendo a Parigi trovo molto più interessante
ad esempio quello che musicalmente passa dal GRM. Una "situazione
italiana" non esiste perché non esistono istituzioni simili. Ma
non credo che questo sia un male.
In molta della sua musica si sente la presenza della chitarra, una
cosa un po' particolare tenendo conto dei suoi studi e della sua
formazione elettronica e informatica. Quanto è importante la
presenza della chitarra nella sua musica?
Tenga
conto che iniziai gli studi musicali a 12 anni quando mio padre mi
iscrisse ad un corso di chitarra classica. Ne seguì un periodo di
studio molto intenso durato quasi 15 anni e per un po’ di tempo
abbracciai anche l’idea di farne una carriera. Diventai piuttosto
bravo ma capii presto che non basta essere “piuttosto bravi”per
fare il concertista. Ho fatto poi anche le mie belle esperienze con
l’elettrica nel rock ma soprattutto nel metal, thrash metal. Mi
piaceva lo stile di Chuck Schuldiner, Denis D’Amour (alias Piggy)
due giovani vite maledettamente stroncate troppo presto. Poi certa
musica acustica americana, Fahey, Basho, Michael Hedges.
Parallelamente alla chitarra però, come lei ha evidenziato,
cominciarono ad interessarmi altre strade: la musicologia, la musica
elettronica e infine la composizione. Ad esempio ritengo la
frequentazione dei corsi di composizione con Alessandro Solbiati un
altro momento molto importante per la mia formazione. Grazie a lui ho
imparato che cosa vuol dire comporre, essere un Compositore e quindi
mediare tra un pensiero musicale e la scrittura per mezzo degli
strumenti musicali. Nella musica elettronica invece la scrittura è
assente o assume altri significati. Nascono e si sviluppano altre
grammatiche, altre possibilità formali. C'è quindi una differenza
ontologica sostanziale tra i due mondi e la differenza la fa la
scrittura. Nella mia musica ad esempio questo si riflette in una
differenza abissale tra la musica elettronica che produco e quella
strumentale che scrivo. Contrariamente alla musica elettronica che
produco la mia scrittura, quindi anche per chitarra, è piuttosto
“tradizionale” e i miei modelli rimangono compositori come
Petrassi, Castiglioni, Henze. Tornando alla sua domanda sulla
chitarra ha ragione; gran parte delle cose che ho scritto prevede una
chitarra. E continuerò a farlo. Sono convinto che sia uno strumento
ancora tutto da esplorare. Come compositore non voglio lasciarmi
sfuggire questa sfida.
Lei ha pubblicato altri pezzi per chitarra (oltre ai Fleurs d'X) per
la Ut Orpheus Edizioni, si tratta di "7 pezzi brevi per
chitarra" del 2005 e "Eloge de l’Asymptote per Chitarra"
del 2006, ce ne vuole parlare? Sono stati eseguiti e registrati?
I
Fleurs d'X ora sono editi dalla casa editrice Nuova Stradivarius
mentre i due lavori da lei citati rimangono editi da Ut Orpheus. A
parte i Fleurs d’X il mio catalogo per chitarra comincia ad essere
piuttosto consistente: due fantasie-sonate, cinque preludi, tre
raccolte di brani in forma di Suite tra cui includo i 7 pezzi brevi,
l'Eloge e Quodlibet infine un brano da camera per chitarra e cinque
strumenti. Il modello seguito per comporre i brani da lei citati è
quello delle Suite dei grandi chitarristi barocchi, Roncalli, de
Visée. Forme brevi e brevissime, gesti concisi ed estrema varietas.
Fleurs d'X a parte la maggior parte di questi brani non è mai stata
eseguita e registrata.
Come è nato il progetto Fleurs d'X e la collaborazione con Elena
Casoli?
I
Fleurs d’X sono soprattutto un gioco nato quasi per caso. Racconto
i dettagli un po’curiosi della nascita di questo lavoro nel booklet
del CD. Come tutti i giochi ci sono implicazioni serie e semiserie.
Ho letto che lei li ha definiti frammenti: mi sembra una definizione
corretta anche se io li considero alla stregua di emblemi. Il
carattere perentorio dei brani non è privo di reservatezze,
ai limiti del gioco musicale come il famoso Rondeau di Cordier o
simbolico come negli emblemata dell’Atalanta Fugiens di Maier. Ci
sono ad esempio dei piccoli enigmi musicali che mi sono divertito ad
inserire in molti brani. Ho sempre poi un’immagine, come dire,
cortigiana della musica che scrivo per chitarra come se fosse musica
adatta a scandire le ore di un’immaginaria corte futura. Se ha mai
letto Anathem
di Neal Stephenson potrà facilmente visualizzare questa fantastica
comunità monastico-cortigiana. Per quello che riguarda Elena credo
che la più grande fortuna per un compositore sia lavorare con
interpreti professionisti. Con lei si è tutto svolto quindi
all’insegna della massima professionalità: le ho proposto il
lavoro, ci siamo incontrati tre volte per le prove e a quel punto ho
capito che potevamo anche suggellare la collaborazione in un CD. Ho
voluto personalmente seguire le registrazioni in studio sperimentando
alcune soluzioni di ripresa microfonica utilizzando anche un
microfono a contatto per evidenziare particolari sonorità.
Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché
per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è
stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del
repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il
pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più
“messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi
classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica
contemporanea. Lei quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora
nella frase di Berlioz?
La
frase aveva certamente un senso nel periodo in cui è stata scritta.
Berlioz suonava la chitarra ed era un protagonista della rivoluzione
che il linguaggio musicale stava attraversando. Ma più che di
linguaggio forse parlerei proprio di suono. Il suono romantico (la
sua componente dionisiaca), è di fatto incompatibile con l’esilità
della chitarra (strumento apollineo). E’ un suono che tende alla
saturazione dello spazio. Lo stesso trattato di strumentazione di
Berlioz considera in modo innovativo problemi come la
spazializzazione degli strumenti orchestrali, l’acustica ecc. ecc.
Ma la saturazione romantica non fu soltanto evidente questione
“dinamica”. Dello stesso spazio tonale si cominciava allora a
prendere coscienza dei limiti. Se già la forma-mentis del
compositore che si era formato sul Fux era comunque poco incline ad
adattarsi alla combinatoria chitarristica figurarsi nell'epoca post
Sturm und Drang. Poi la chitarra era sempre lo strumento dell’ancient
régime, di Luigi XIV,
e Berlioz nella sua musica non celebrava di certo la memoria delle
vittime del genocidio vandeano. Se il suono romantico tende ad
avvolgere il pubblico la chitarra, al contrario, ha un suono che
tende ad attirare a sé chi ascolta. Incantandolo. Ma qui accade
qualcosa di straordinario, unico e anche tragico nella Storia della
Musica. Dal punto di vista psicanalitico si tratta di un processo che
definirei di schizofrenica
rimozione di un desiderio inconscio.
La novità espressa dal suono romantico, la sua dimensione estatica è
talmente predominante che prevale anche sull’immaginario
mitico-simbolico incarnato dagli strumenti a corde pizzicate (quindi
anche nelle elaborazioni più arcaiche della chitarra tipo liuto,
arpa). Immaginario che comunque è ben presente anche nei compositori
(quelli celebrati dal Canone) che hanno rimosso la chitarra dalla
loro pratica compositva. Si pensi alla centralità della figura
arcaicizzante dell’arpa o del liuto in tutta l’elaborazione
poetica romantica. Un altro esempio che varrebbe la pena
approfondire: l’arpa-liuto di Beckmesser nei Meistersinger di
Wagner. Non vorrei tirarla per le lunghe ma, nel bene e nel male
questa considerazione per me ha implicazioni rilevanti per tutta la
Storia della chitarra. Qui c’è anche materiale, come scrisse
Quirino Principe, per definire “ciò
che la musica è indipendentemente dalla sua epifania storica…la
sua essenza, al di là dell’esistenza”.
Ho notato in questi ultimi anni un progressivo avvicinamento tra due
aspetti della musica d’avanguardia, da un lato l’aspetto più
accademico e dall’altro quello portato avanti da musicisti ben
lontani dai canoni classici e provenienti da aree come il jazz,
l’elettronica e il rock estremo come Fred Frith, John Zorn, la
scena downtown newyorkese e alcune etichette di musiche elettroniche
come la Sub Rosa e la Mille Plateux influenzate dal pensiero di
Deleuze e Guattari. Che ne pensa di queste possibile interazioni e
pensa che vi sia spazio anche per esse in Italia? Inoltre, si sente
spesso parlare di improvvisazione, a volte di improvvisazione
aleatoria nell’ambito della musica contemporanea a volte
confondendola con l’azione e il gioco della casualità come per
Cage, quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca
musicale?
Mai
come oggi in Italia ci sono enormi talenti musicali, tra interpreti
compositori e musicisti elettronici. Indipendentemente dalle
istituzioni e dalla loro degenerazione è un periodo straordinario
tanto per la musica sperimentale quanto per quella accademica. La
differenza nel nostro paese la fanno i singoli, temprati da tutte le
difficoltà del caso per emergere. Sulle contaminazioni tra accademia
e sperimentazione ho molti dubbi ma spero, in un prossimo futuro, di
poter far sentire la mia voce. La mia insaziabile curiosità mi ha
portato a frequentare entrambi i due mondi ma …non so se conosce il
verso di Cristina Campo:
“Due
mondi –e io vengo dall’altro”.
L’improvvisazione
per me ha una grandissima importanza soprattutto nella musica
elettroacustica. Ma non mi è mai interessato documentare l’atto
improvvisativo in sé.
A parte l'uso del computer quale approccio segue per comporre? Usa
solo il computer o preferisce un approccio più “tradizionale”?
Scrive su pentagramma o ricorre a altre sistemi come diagrammi,
disegni etc.?
Se
si tratta di scrittura musicale in realtà uso quasi sempre prima
carta e penna. Non per un vezzo retrò anche perchè oggettivamente è
meno faticoso scrivere musica direttamente al computer. L’antico
gesto della mano però si imprime più facilmente nella memoria e
questo mi aiuta molto nell'elaborazione soprattutto della fase
pre-compositiva. Prendo poi molti appunti in modo del tutto
disordinato. Ma non sempre procedo in questo modo. A volte uso
OpenMusic (o PWGL) e Finale aperti contemporaneamente per generare
materiale. Il passaggio tra questi software o di questi con il primo
metodo è non lineare e poco prevedibile. Di mezzo poi ci sono molte
stampe, tante sforbiciate e molto scotch. Disegni e diagrammi li
utilizzo soprattutto per la musica elettronica o per la musica da
camera. Non sono indicazioni prescrittive ma un repertorio di
possibilità che riguarda il montaggio delle parti (queste spesso
improvvisate su strumenti elettro-acustici, oggi soprattutto nastri e
pedali per chitarra). Questi schemi rimandano a procedimenti
narrativi e/o tipici del montaggio audiovisivo in modo da poter
contrapporre tra loro tecniche di editing
a quelle di montage.
Quali saranno i suoi prossimi progetti?
Dopo
quattro anni dall'ultima produzione di musique
concrète sto
finalmente ultimando il mio primo lavoro solista di musica
elettronica. E’ una lunga suite dal titolo provvisorio Come
to Venus, Melancholy
(dall’omonimo racconto di Thomas Disch). Ho poi ripreso un vecchio
progetto di una serie di scene dal Faust
per viola d’amore e
elettronica ma non ho la più pallida idea di dove andrà a parare.
Notizia recentissima è
l'inizio di una collaborazione con il quotidiano online
L'Intellettuale
Dissidente per il
quale mi occuperò di Musica, quella di Tradizione e d'Avanguardia,
finalmente in una prospettiva post-ideologica, senza facili
concessioni alle semplificazioni e a cui faranno seguito
approfondimenti critici, di cronaca e consigli d'ascolto.