mercoledì 31 marzo 2010

Recensione di FANTASIA PER ENSEMBLE - ESTUDIOS SENCILLOS di Marco Cappelli e Leo Brouwer (Teatro del Sole 2000)


OK! Questo disco me lo sono davvero goduto! Se pensate di trovarci dentro un’idea di musica classica contemporanea vecchia e stantia, con quella puzzetta sotto al naso tipica di certi ambienti dalle pretese narcisistiche vi sbagliate di grosso: qui c’è solo buona, anzi ottima musica, suonata con forza, intensità, passione, intelligenza e un pizzico di folle creatività che da quel gusto speziato in più che non guasta. L’idea è in se semplice e efficace: il disco è diviso in due parti, la seconda (classica) vede Marco Cappelli esprimersi in solitaria nei 20 Estudios Sencillos di Leo Brouwer, la prima (ecumenicamente fantasiosa) trova l’Ensemble del Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo alla prese con una trasformazione di 11 di questi Estudios in una Fantasia dove background classico, improvvisazione, elementi jazz e composizione estemporanea si fondono in un cocktail originale e intrigante.
L’ho trovata un’idea creativa e intelligente! Tutti i musicisti sembrano perfettamente rilassati e a loro agio sui binari della poetica di Leo Brouwer, ciascuno dando il suo personalissimo contributo ad una musica vivace, coloratissima, divertente e brillante. Marco Cappelli dimostra nella seconda parte del cd tutta la sua bravura di pittore musicale mostrando tutti i colori e le variazioni cromatiche che è in grado di far risuonare dal suo strumento, rivelandosi un chitarrista dalla solidità e profondità davvero notevoli. Ancora una volta, è lecito chiedere una migliore visibilità per simili progetti?

Empedocle70

Intervista a Marco Cappelli, seconda parte


Come è nato il suo interesse per gli studi del Book of Head di Zorn? Non sono molto diffusi tra i chitarristi classici, io li ho sentiti suonare circa 10 anni fa a Venezia da Marc Ribot e mi ricordo la sorpresa nel vedergli suonare la chitarra con palloncini e in maniera assolutamente non ortodossa, mi è sempre rimasta la curiosità di sapere se hanno delle parti in cui si può improvvisare o se invece sono studi dalla struttura già ben definita?

C'è stato un momento, verso la fine degli anni '90, in cui collaboravo molto spesso a delle prime esecuzioni e cercavo brani per chitarra ai "confini" del repertorio e del linguaggio scritto. Un amico di Cagliari mi fece ascoltare il disco di Ribot dove suonava i 35 studi del Book of Heads di Zorn, e scoprii che erano pubblicati da Carl Fisher. Mi procurai la partitura e mi trovai di fronte a questi rettangoli pieni di geroglifici, tra cui qualche nota musicale, aperti destra: a significare che, una volta esposto il materiale contenuto nei rettangoli, si poteva - volendo - improvvisare con esso. Se non fosse stato per l'aiuto di Ribot probabilmente sarei ancora li a decifrare i geroglifici...invece ne scelsi 10 e li registrai del cd YUN MU.

Sembra che Electric Counterpoint stia diventando un pezzo da repertorio "classico" per chi vuole cimentarsi con la musica contemporanea, vuole parlarci del suo approccio e della sua interpretazione a questo pezzo? Come è nata l'idea di suonarlo ricorrendo a strumenti di origine folk invece che alla chitarra e al basso elettrico? Sa se Reich ha mai ascoltato la sua interpretazione?

L'idea di reincidere il nastro è nata dal disagio che , nell'ascoltare quel pezzo straordinario, ho sempre avvertito per quel suono geometrico e computeristico delle versioni disponibili. In più da sempre volevo utilizzare in qualche modo la straordinaria collezione di strumenti etnici del mio primo insegnante Gino Bufano, che da bambino mi aveva tanto impressionato da lasciarmi un'indelebile passione per gli strumenti etnici. Così passai una notte a registrare patterns utilizzando una ventina di strumenti inaccordabili, per montarli successivamente con Daniele Ledda a Cagliari negli studi di Ti con Zero. Il risultato fu che il nastro suonava come una banda di paese più che come un computer... fortunatamente piacque anche a Steve Reich, che confessando un leggero fastidio iniziale per l'intonazione "poco temperata" se ne lasciò conquistare scrivendomi una bellissima lettera e parlando della mia interpretazione in diverse interviste (ne ricordo una su Blow Up). Per me era già tanto che non mi avesse mandato una lettera del suo avvocato...

Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?

Purtroppo è fondamentale. Dico purtroppo perche` appartengo ad una generazione di idealisti che e` cresciuta con il mito dell'artista dedito solo alla creazione mentre un'agente si occupa di lui. In realta` se questo era vero in passato parzialmente e solo per alcuni grossi nomi, oggi non lo e` quasi piu` per nessuno. I canali attraverso i quali passa la propria proposta musicale sono saturi di informazione, e far breccia nel muro dell'iper-produzione di arte non e` facile. Probabilmente il futuro e` di chi capira` come manovrare bene le nuove leve della comunicazione, e questo e` difficile che capiti a chi si ricorda ancora dei telefoni grigi della Sip con la rotella che girava per fare i numeri.
Per adesso mi pare che la qualita` della proposta non sia meno importante del modo in cui viene impacchettata e venduta, se il fine e` farla arrivare al pubblico. Io ho un rapporto ambiguo con questa realta`: a volte mi diverte e mi sento molto "moderno" nel dover avere a che fare con questo problema comunicativo che mi affascina sotto il profilo direi... sociologico.
Altre volte mi viene voglia di chiudere completamente la bottega in cui "vendo il mio prodotto", e di dedicarmi solo a pensarlo, registrarlo e chi si e` visto si e` visto, aprendo un bel locale per vivere, dove organizzare performance esclusive , master class e offrire da mangiare visto che mi piace cucinare.

continua domani

martedì 30 marzo 2010

Marco Cappelli - Intro to Electric Counterpoint

Recensione di IDR di Marco Cappelli, Itinera di Empedocle70


Bel disco questo. Parla la lingua di un curioso e stimolante crossover quest’ultima fatica del chitarrista napoletano Marco Cappelli, da tempo newyorkese di adozione, che dopo l’eccellente EGP (vedi recensione sul Blog) torna in terra campana accompagnato da un gruppo di amici musicisti semplicemente eccellenti: Doug Wieselman ai clarinetti e al sax tenore, José Davila al trombone e alla tuba, Ken Filiano al basso, Jim Pugliese alla batteria, e in più, per oltre la metà dei brani, la surreale chitarra dell'inseparabile Marc Ribot e Dj Logic ai giradischi.
Il suono downtown duro e puro, ormai un vero e proprio marchio di fabbrica universale si incontra e si unisce con il patrimonio tradizionale della terra d'origine di Cappelli: cori di sottofondo in dialetto, scacciapensieri e zampogne erranti e inni alla Madonna si ubriacano con i poliritmi di Jim Pugliese, incroci di fiati e le chitarre sghembe di Ribot e Cappelli in un insieme la cui felice e apparente sgangheratezza richiama tante belle cose di Vinicio Capossela e di Tom Waits. Un modo nuovo e felice di rivisitare e forse aggiornare il patrimonio musicale e culturale del profondo Sud, un modo intelligente di esportare il suono avant newyorkese fuori dai grattaceli della Big Apple.

Empedocle70

Intervista a Marco Cappelli, prima parte


La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra? Con quali chitarre suona attualmente? So che per EGP lei ha modificato in maniera particolare la sua Yahiri 90 da studio, che modifiche le ha apportato? Suona sempre la sua Scandurra?




A dieci anni, durante un picnic estivo di famiglia, assistetti alla seguente scena: un gruppo di cugine guardavano estasiate mio fratello (maggiore) che cantava una canzone di Battisti accompagnandosi con la chitarra che mio padre aveva in casa.Considerata la mia incapacità totale di superare il muro di timidezza ostruito ulteriormente da un paio di spesse lenti da miopia, feci due più due...e simulai con i miei una folgorazione sulla via di Damasco per la musica. Mi mandarono da un maestro, un amatore che ebbe il merito di farmi appassionare moltissimo allo strumento (si tratta di quel Gino Bufano con la cui collezione di strumenti etnici ho registrato - molti anni dopo - il nastro di Electric Counterpoint di Steve Reich).La cosa buffa è che la chitarra come "mezzo di socializzazione" funzionò per poco: solo fino a quando, diventato leggermente più bravo della media dei miei coetanei strimpellatori - gli amici vari si intimidivano a suonare dopo di me, con il fantastico risultato che sulla spiaggia davanti al classico falò, tutti "combinavano" e io rimanevo da solo con la stramaledetta chitarra in mano. Allora smisi: basta socializzazione. E cominciai a studiare. Attualmente suono due chitarre di Alessndro Marseglia: una classica da concerto e uno strumento che gli ho commissionato io, con la cordiera di risonanza e predisposto per l'amplificazione, ma comunue con un ottimo suono acustico grazie alla scelta di tenere tutta la parte elettronica per quanto possibile fuori dalla cassa. Questa seconda Marseglia ha sostituito la Yahiri 90 sulla quale avevo condotto i miei "esperimenti genetici": una chitarra alla quale sono molto affezionato ma che ha un oriibile suono acustico, a causa delle sevizie subite.
La mia Scandurra del 1989 l'ho messa un pò da parte, ma le voglio molto bene. In compenso suono molto 3 elettriche: una Key degli anni '50 con un bellissimo suono vintage, una Kelly (liutaio newyorkese) modello Telecaster ed una Epiphone da Surf Music con una fantastica leva di bending che mi ha prestato Marc (Ribot) e che prima o poi dovro` ahime` restituirgli.




Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo e quali sono le correnti stilistiche nella quale lei si riconosce maggiormente?

Quando ancora non studiavo la chitarra classica seriamente, il maestro da cui andavo svogliatamente si mise in testa di mandarmi ad una edizione dei primi anni '80 del Concorso Sor. Io senza consocere il solfeggio e senza avere la più pallida idea del "mondo di lupi" col quale avrei avuto a che fare, presi la cosa molto seriamente e studiai il pezzo d'obbligo: Tiento, di Maurice Ohana. I miei familiari, tra i quali nessuno brillava per cultura musicale, erano molto turbati da quel brano, ragion per cui io lo studiavo per ore ogni giorno, convinto - da buon adolescente - che quella musica che i miei non capivano fosse il mio terreno di riscatto esistenziale. Ho poi mantenuto, proseguendo negli studi, una particolare interesse per la musica contemporanea, poi diventata il centro della mia attività... anche perchè il mondo della chitarra romantica o "segoviana" non mi ha mai attratto particolarmente, mentre una chitarra tagliente, ruvida, anti-gentile rispecchiava molto di più la mia natura musicale. Ah, naturalmente al concorso fui eliminato alla prima prova, ma il caso volle che il Tiento di Ohana uscisse come prova d'analisi scritta al concorso per l'insegnamento in Conservatorio...incredibile! Mentre la maggior parte dei candidati si abbandonava a scene di panico io me la ridevo perchè quel pezzo lo conoscevo da sempre, nota per nota...

continua domani

lunedì 29 marzo 2010

Recensione di Yun Mu di Marco Cappelli


Confesso che questo disco mi ha quasi fatto soffrire la sindrome del collezionista insoddisfatto: l’ho cercato in lungo e in largo per più di due anni prima di riuscire a procurarmelo chiedendolo direttamente all’autore. Un vero peccato la sua difficile reperibilità perché questo cd meriterebbe di essere distribuito e rintracciato con la facilità che viene destinata ai dischi delle stelle della musica pop. Dico questo perché questa registrazione è un vero concentrato di idee ricche e intelligenti che non si esauriscono con pochi ascolti ma che lasciano il segno indugiando ancora a lungo nell’aria.
Qui sono presentate alcune composizioni di cinque compositori di origini italiane, statunitensi e coreane: i “pezzi grossi” sono ovviamente John Zorn e Steve Reich, gli italiani Claudio Lugo e Giorgio Tedde, dulcis in fundo la coreana Junghae Lee.
Ero molto interessato alla interprestazione di Cappelli dei brani di The book of Heads. Nel cd sono ospitati 10 dei 35 studi ideati da Zorn nel 1978, avendo a modello la figura e la tecnica anarcoide di Eugene Chaudborne e interpretati da Marc Ribot nel disco uscito per la Tzadik nel 1995. L’interpretazione di Cappelli mi è sembrata più ricca e dinamica di quella di Ribot, si sente cioè la diversa estrazione dei due chitarristi e qui l’italiano fa ben valere il suo background di musicista classico. Altrettanto strepitosa è la versione di Electric Counterpoint di Steve Reich brano che si sta sempre più imponendo come uno dei pezzi “classici” e di repertorio obligato per gli interpreti di musica contemporanea. La versione di Cappelli è decisamente particolare e insolita: la sua scelta di non seguire pedissequamente la struttura originaria del brano e di registrarlo ricorrendo non solo alla chitarra acustica e alla classica (qui modificata con l’aggiunta di altre corde libere di vibrare per “simpatia”) ma anche a un ricco repertorio di strumenti derivanti dalla tradizione folk accordati in modo ad aggiungere un suono etnico, si rivela vincente dando luogo a una versione originale e insolita, ma allo stesso tempo impeccabilemnte eseguita e rispettosa del credo sacro di Reich: “music as a process”.

Di Claudio Lugo "la Fabrica de Carillon-Nana" è il pezzo più breve e forse soffre il suo posizionamento tra Zorn e Reich. Cinque minuti in cui la chitarra viene usata in maniera poco ortodossa, armonici, pizzicati, corde stoppate in un insieme armonico e percussivo assieme che risuona come gli ingranaggi delicati e meccanicamente precisi di un carillon nascosto all’interno di un uovo Fabergé. A chiudere i nove minuti circa del brano che da il titolo al cd della compositrice Junghae Lee e i tredici minuti di Napoletap di Giorgio Tedde, due pezzi diversi tra loro che a mio avviso condividono un senso di profonda intensità. In "Napoletap" come esplictamente dichiarato dal titolo fa riferimento alle matrici folk della musica partenopea inserendole in un contesto sonoro dove la chitarra viene “processata” anche elettronicamente e dove mi sembra vengono date al chitarrista molte possibilità di espressione e di gestione del suono.
Nulla da eccepire: un disco semplicemente eccellente sia per la scelta del repertorio, che per la qualità delle interpretazioni che per l’abilità tecnica e artistica di Marco Cappelli … un solo dispiacere … ma perché un disco così non riesce ad “accasarsi” presso una casa discografica in grado di offrirgli le possibilità di distribuzione che meriterebbe?

Empedocle70

Recensione di EGP di Marco Cappelli, Mode records 2006


Ho scoperto questo disco tramite una recensione e un’interessante intervista a Marco Cappelli sul mensile BlowUp, dove Cappelli descriveva il suo esodo volontario dall’Italia verso New York alla ricerca di nuovi stimoli per il proprio percorso artistico ormai da tempo indirizzato verso la musica contemporanea, l’avanguardia e l’improvvisazione. Percorso artistico sintetizzato nel disco e nel progetto solista EGP, l’idea cioè di fotografare con efficaci “istantanee musicali” il circolo di musicisti di Down Town New York commissionando agli stessi artisti nuove composizioni.
Musicisti / compositori / improvvisatori caratterizzati dal fatto di essere legati tanto ai campi della musica colta che del jazz, dell’elettronica, dell’avanguardia che della sperimentazione rock, e accomunati da un linguaggio musicale scevro di una qualsiasi suddivisione / limitazione in categorie.
Ecco quindi uno dei maggiori motivi di interesse di questo disco: la possibilità di avere a portata … d’orecchio una realtà musicale così particolare attraverso l’ascolto di brani scritti per chitarra classica particolare, modificata dallo stesso Cappelli con l’aggiunta di 8 corde di risonanza,amplificata e predisposta per il controllo MIDI, e caratterizzati da una scrittura … mista, sia rigorosamente strutturata che caratterizzata da soluzioni e modelli più liberi e informali, quasi aleatori con ampio uso dell’improvvisazione. La lista dei compositori, ciascuno presente con una sua composizione è quanto di meglio si possa chiedere per rappresentare l’avanguardia musicale della Big Apple: Elliott Sharp, Otomo Yoshihide, Ikue Mori, Marc Ribot, David Shea, AnthonyColeman, Nick Didkovsky, Mark Stewart, Erik Friedlander e Annie Gosfield.
Non resta ascoltare uno per uno i brani:

1) “Marc Ribot: And So I Went to Pittsburgh” Di tutti i musicisti con cui Cappelli è entrato in contatto non è davvero difficile immaginare una particolare affinità col Signor Ribot. L’interpretazione di questo brano, assolutamente tipico per il chitarrista newyorkese compagno di giochi di John Zorn e Tom Waits, è talmente rigorosa da rasentare la perfezione stilistica. Cappelli ha saputo rendere alla perfezione un brano in cui Ribot ha voluto condensare tutta la sua … schizofrenia, unendo tra loro brividi elettrici e una certa arcaicità american primitive guitar con un suono abrasivo, sporco affiancato a momenti di pace quasi bucolica.

2) “Ikue Mori: Bird Chant” Per chi non la conoscesse la signora Ikue Mori è una dei punti di riferimento dell’avanguardia-rumoristica-elettronica newyorkese fin dai tempi della No Wave. Singolare la sua presenza in questo disco data la sua presenza con i DNA di Arto Lyndsay nella celeberrima antologia musicale “No New York” curata da Brian Eno nel 1978 e recentemente ristampata. Anche qui basta un breve inizio d’ascolto per domandarsi se non sia lei l’autrice. Il brano è realizzato sulla contrapposizione / interazione tra la chitarra e una base preregistrata, creando uno scenario delicato e rarefatto, sospeso su una rete di suoni elettronici e rumori tipici della poetica “musicale” della Mori, in cui la chitarra quasi ne tratteggia i contorni. Isolazionista senza esserlo mai veramente, forse semplicemente siderale.

3) “Elliott Sharp Amigdala” Elliott Sharp è un po’ considerato il Jimi Hendrix delle musiche eterodosse: instancabile ricercatore, inventore di nuove chitarre, i suoi lavori sono caratterizzati da veri blocchi sonori e da influenze rock, blues e dal canto armonico e in generale dall'utilizzo continuo di overtones. Le sue musiche sono eseguite con regolarità dai maggiori ensemble in questo settore, tra i quali l'Ensemble Modern e la non meno prestigiosa orchestra del ORF di Vienna. Anche in questo brano Sharp non si smentisce inventando un lento bordone ritmico in eterea evoluzione che si … sbrindella, si sparpaglia, si avvita su se stesso con le corde percosse, strofinate, accarezzate, pizzicate in tutti i modi possibili, tapping doppi glissando … l’interprete spinto al massimo delle possibilità fisiche, sue e dello strumento.

4) “Anthony Coleman The Buzzing in My Head” Racconta Cappelli, nel bel libretto incluso nella confezione del cd, che questo brano sarebbe servito a Coleman per esorcizzare una fastidiosa malattia dell'orecchio che gli faceva udire un fastidioso e costante ronzio. Coleman è pianista virtuoso, legato alla musica klmezer e al jazz e di cui è impossibile non citare lo splendido lavoro fatto in Bar Khokba di John Zorn. Citando Ligeti e omaggiando Beckett, richiamando concretamente l'odiato ronzio il compositore confeziona uno dei brani forse meno estremi del cd, una scrittura improvvisa e quasi brusca, ben poco melodica, con qualche escamotage da teatro d’avanguardia. Forse un po’ troppo lungo …

5-6-7) “Nick Didkovsky A bright moon makes a little daytime” Il signor Nick Didkovsky è un personaggio singolare, compositore, autore di software, formidabile matematico nonché chitarrista e leader del gruppo dei Doctor Nerve, caratterizzato da una approccio poli-stilistico con echi rock (Frank Zappa, Henry Cow e King Crimson), vicino o forse meglio dire parallelo alla scena avant newyorkese. Bello scoprire in lui l’autore di questo pezzo, un brano in tre parti, fondamentalmente basato sulle possibilità offerte dalle normali 6 corde più le 8 di risonanza della chitarra preparata di Cappelli. I suoni emessi dalle due cordiere si scontrano, incontrano e rincorrono secondo una tecnica che inedita, ogni tanto dalla fitta trama appaiono, come dalla nebbia, radi echi di blues ….

8) “Otomo Yoshihide Pi-Anode” Otomo Yoshihide. Tokyo. Chitarra jazz, turntables, laptop, avant, free, noise, come definire questa simpatica persona dall’aria mite che in un attimo è in grado di saturare l’atmosfera dei suoi concerti passando dalle più dolci melodie alla tortura acustica più spietata? Nel brano in oggetto Otomo decide di vestire i panni del serio compositore, ideando un bezzo basata su una struttura aleatoria: una tavola numerica che incrocia il numero di corde da impiegare con una serie di eventi prestabiliti e lascia all'esecutore la responsabilità di costruire / ricostruire il brano impiegando tutti i suoni incidentali presenti nell'ambiente e derivanti dall'esecuzione, ma senza l’uso di feedback. Date queste regole Cappelli genera una mosaico sonoro confuso, controllato e cangiante. You call that music? Avrebbe chiesto Zappa …

9) “Annie Gosfield Marked by a Hat” La signora Gosfield (è compositrice e membro dei Bang on a Can) è l’autrice del brano apparentemente meno estremo del cd. Al primo ascolto, specialmente subito dopo l’aleatorietà di di Otomo, viene quasi spontaneo chiedersi cosa ci sia di così estremo in un brano costruito su poche variazioni di arpeggio delle otto corde di risonanza aggiunte da Cappelli al proprio strumento? Un brano per sola mano destra e corde a vuoto, caratterizzato da effetti percussivi quasi a creare una trance. Un brano che però cresce di ascolto in ascolto.

10) ”Mark Stewart Uboingee Etude #1“ Geniale estremismo. Impossibilitato a completare la serie di undici studi per chitarra che aveva in mente a causa di un redditizio tour con Simon & Garfunkel, il funambolico chitarrista dei Bang On A Can consegna a Cappelli un 'pezzo' del tutto particolare: uno strumento (in pratica uno scheletro di metallo arrugginito tenuto assieme da vertebre e costole elastiche con un microfono a contatto che ne amplifica ogni vibrazione) da lui costruito sul quale eseguire un'improvvisazione. Cappelli si è pertanto prodotto in un estemporaneo martellamento delle molle e delle fasce di cui lo strumento prima di eseguire il brano vero e proprio - non proprio memorabile, a dire il vero - su di un loop percussivo.

11) “Erik Friedlander Iron Blue” Forse il brano più bello e, apparentemente, più melodico. Elegante, quasi arabescato in certi passaggi deve aver non poco messo a dura prova le capacità di Cappelli, essendo stato costretto ad accordare la chitarra come un violoncello. Il risultato è molto appagante per l’ascoltatore, Friedlander è compositore (e interprete) molto capace, un altro degno compagno di squadra per Coleman e Ribot negli ensamble di John Zorn. Un brano meraviglioso.

12) David Shea Terra from: Metta Meditations Compositore segnalatosi fin da giovane per la brillante capacità di mediare musica elettronica e scrittura compositiva (imperdibili i suoi due capolavori Satirycon e Tower of Mirror) ,Shea ha composto una suite in sette movimenti basata sull'elaborazione in studio di campioni dello strumento di Cappelli e che prevede, nell'esecuzione, il raddoppio della chitarra attraverso un nastro, o meglio un cd pre registrato. Il risultato è un brano estraniante, sospeso, quasi una meditazione indecifrabile, effetti, acuti arpeggi ostinati che passano dondolando dallo strumento al nastro senza soluzione di continuità, come un continuum sonoro che continua a suonare nell’orecchio, anche dopo la sua fine.

Disco consigliatissimo per chi ama l'avanguardia, in particolare la sempre prolifica e interessante scena newyorkese!
Empedocle70

Marco Cappelli: Biografia



Marco Cappelli nasce a Napoli nel 1965 e, dopo aver militato durante gli anni dell’adolescenza in diverse band giovanili - spaziando dal rock al blues e alla musica popolare napoletana – intraprende regolari studi accademici, diplomandosi con lode presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma nel 1989.
Nel 1991 vince una borsa di studio messa a concorso dalla Confederazione Svizzera grazie alla quale puo`frequentare, presso la Musik-Akademie di Basilea, la Konzert-Klasse di chitarra tenuta da Oscar Ghiglia e i corsi di Musica da Camera tenuti da Walter Levine, Hatto Bayerle e Jurg Wittenbach, conseguendo il Konzert-Diplom con il massimo dei voti nel 1993.
Durante la permanenza in Svizzera collabora con gruppi come Ensemble S e Ensemble Opera Nova di Zurigo, IGNM e Ensemble dell’Elektronisches Studio di Basilea, venendo a contatto con un repertorio che spazia dai padri della musica contemporanea (Schönberg, Boulez, Kurtag, Scelsi ecc.) alle prime esecuzioni assolute, sotto la guida di direttori come Jürg Wittenbach, Thomas Kessler e Jürg Hennenberger.
Rientrato in Italia estende il raggio dei suoi interessi musicali all’improvvisazione collaborando con Enrico Rava nel Progetto Carmen, con il quale suona in festival internazionali come Montreal, Toronto e Vancouver (Canada), Willisau (Svizzera), Saalfelden (Austria).Tale apertura di orizzonti musicali gli frutta collaborazioni con musicisti come Han Bennink, Anthony Coleman, Michel Godard, Claudio Lugo, Franco Piersanti, Jim Pugliese, Enrico Rava, Marc Ribot, Giovanni Sollima, Giorgio Tedde, Bruno Tommaso&
Protagonista di un singolare percorso artistico – che lo vede oramai passare con disinvoltura dall’esecuzione della scrittura musicale più rigorosa alla pratica dell’improvvisazione – lascia confluire nella sua attività di solista le eterogenee esperienze musicali di cui si va arricchendo, proponendo programmi che gettano un ponte fra il repertorio contemporaneo tradizionale e la più ardita sperimentazione.
Marco Cappelli viene regolarmente invitato sia da associazioni concertistiche di musica classica che da festival di jazz e di musica improvvisata, e dedica largo spazio alle prime esecuzioni di compositori come Junghae Lee, Giorgio Tedde, Claudio Lugo o dell’ EGP (Extreme Guitar Project: 10 nuovi pezzi scritti per lui da compositori della scena Downtown di New York).
Tra i suoi impegni più recenti l’invito come solista presso l’Asian Composer Festival (Seoul, Maggio 2002), la scrittura come chitarrista elettrico nell’opera Ellis Island di Giovanni Sollima (Teatro Massimo di Palermo, Ottobre 2002), la prima esecuzione di Tammurriata per chitarra e orchestra di Giorgio Tedde, su commissione dell’Ente Lirico di Cagliari (Cagliari, Febbraio 2003) replicato in Sud Corea con la Madri Chamber Orchestra (Seoul, Maggio 2003) ed infine la prima esecuzione di EGP per conto dell’Associazione Alessandro Scarlatti (Napoli, Novembre 2003) e dell’ Issue Project Room (New York, Gennaio 2004).
Chitarrista dell’Ensemble Dissonanzen, è socio fondatore di Dissonanzen, associazione da anni impegnata nella promozione e diffusione della musica contemporanea a Napoli e nella produzione di progetti artistici che l’Ensemble esporta nel circuito concertistico internazionale.
Tra i progetti dei quali e` co-leader hanno particolare rilevanza A Bao a Qu (con Marco Sannini e Francesco D’Errico), Dedalo Guitar Project (con Domenico Caliri), Syntax Error (con Roberto Pellegrini e Daniele Ledda) e IDR–Italian Doc Remix (con Jim Pugliese).
Titolare della cattedra di chitarra presso il Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo, e` stato invitato nel 2004 come “Guest Professor” presso la New York University e la Julliard School of Music.
Con i suoi allievi dell’Ensemble del Conservatorio V. Bellini di Palermo di cui è direttore, ha inciso per l’etichetta Teatro del Sole un CD su musiche di Leo Brouwer distribuito dalla rivista specializzata Guitart.Per la stessa etichetta ha inciso YUN MU , un cd dedicato alla musica contemporanea per chitarra, che ha riscosso notevole successo presso la stampa specializzata nazionale ed internazionale e l’apprezzamento di compositori come John Zorn e Steve Reich.

domenica 28 marzo 2010

La chitarra contemporanea in radio!


Cari Amici,
domani sera, lunedì 29 dalle 21 alle 22 sarò in onda su Radio Voce della Speranza nell'ambito del programma Radiofonico "Di che musica sei?" con una puntata interamente dedicata alla musica per chitarra contemporanea.

Radio Voce della Speranza (RVS) è radio privata di Forlì con ponti radio anche in tutta Italia, nella scaletta musicale sono previste musiche suonate da Elena Càsoli, Matteo Mela, Lorenzo Micheli, Antonio Rugolo, Nuccio D'Angelo, Arturo Tallini, Marco Cappelli, Maurizio Grandinetti, Emanuele Forni, Donato D'Antonio.
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http://dichemusicasei.blogspot.com/
http://www.radiovocedellasperanza.it/default.html

Le stazioni RVS in Italia :

- Bologna: 105,3 Mhz
- Catania, Ragusa, Siracusa, Agrigento, Caltanissetta, Enna: 97,5 Mhz
( Enna: 90,8 Mhz)
- Forlì, Cesena, Ravenna: 104,5 Mhz
- Conegliano Veneto, Treviso, Venezia: 97,9 Mhz
- Firenze: 92,4 Mhz
- Gaeta: 88,7 Mhz
- Palermo: 92,6 Mhz
- Roma: 104,8 Mhz
- Sciacca: 94,5 Mhz

Sarà possibile anche seguire la trasmissione via streaming direttamente da internet:
http://www.radiovocedellasperanza.it/streaming/default.html

Vi aspetto alla radio!
Empedocle70

Ipazia: The Book of Abbeyozzud di Terry Riley


"Fuori s'estende la terra vuota fino all'orizzonte, s'apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l'uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante..."

Italo Calvino, Le Città Invisibili

Playlist

- Cantos Desiertos: Francesco en Paraiso
- Cantos Desiertos: Cancion Desierto
- Cantos Desiertos: Quijote
- Cantos Desiertos: Llanto
- Cantos Desiertos: Tango Ladeado
- Zamorra
- Ascencion
- Dias de los Muertos: Innocencia
- Dias de los Muertos: La Muerte en Medias Caladas Negras
- Barabas

Musica in sottofondo

mono drone: holed sky Laverna release n.23

Da oggi è disponibile il download tramite podcast della sesta puntata di Ipazia dedicata alle musiche di Massimo Lonardi

Per seguire IPAZIA basta collegarsi a http://chitarraedintorni.blogspot.com/ oppure su http://laverna.listen2myradio.com/.

Link Utili Laverna

sabato 27 marzo 2010

Intervista a Enrico Coniglio, quinta parte


Con chi ti piacerebbe suonare e chi ti piacerebbe suonare? Che musiche ascolti di solito?

Ci sono diversi nomi della scena che mi piacerebbe avvicinare o che sono già riuscito a contattare, per dare il via a collaborazioni interessanti. Ascolto molto volentieri le release made in Italy di Glacial Movements, Afe records, Silentes. Mentre all’estero Hypnos, Crònica, Type, Touch, ecc. Non ti sto a fare l’elenco completo, diciamo dal deep space ambient al post-folk. Ascolto anche stream radio e i podcast che le varie etichette, gli autori o gli appassionati, mettono a disposizione in free download. Ci vorrebbe molto molto più tempo, al solito

Quali saranno le tue prossime uscite e le prossime iniziative?

È con un certo orgoglio che annuncio una release (digitale!) a sorpresa per Spire/Touch music, che dovrebbe avvenire nelle prossime settimane. Stay tuned… si dice in gergo.
C’è poi in programma la release di Out&About, come HERION, un nuovo progetto collaborativo ideato assieme al musicista e amico Emanuele Errante, la pianista Elisa Marzorati e il violista Piergabriele Mancuso. Un album delicato, denso di suoi acustici e droni sintetici, in bilico tra una classica inquieta e un ambient conciliante. In maggio la label portoghese Cronica electronica uscirà con una compilation, che sarà distribuita in Italia attraverso una rivista specializzata, cui partecipo con brano composto con Janeck Schaefer (a proposito di sound art…). In autunno usciranno le Topofonie vol. 2 con la label irlandese Psychonavigation, il nuovo capitolo delle mappe sonore della laguna veneziana, che annovera la già collaudata partecipazione del trombettista norvegese Arve Henriksen e del nostro pianista su quel piccolo oceano che è la laguna, Gigi Masin.

Ultima domanda, proviamo a voltare verso la musica le tre domande di J.P.Sartre verso la letteratura: Perché si fa musica? E ancora: qual è il posto di chi fa musica nella società contemporanea? In quale misura la musica può contribuire all’evoluzione di questa società?

Perché si fa musica, è una domanda che mi sono posto da sempre, fin da quando strimpellavo la chitarra a 14 anni. La risposta è implicita alla sostanza della musica stessa: la musica è un potentissimo mezzo per inventare mondi. Per crearne di nuovi o per abbellire quello reale. Si fa musica prima di tutto per sé stessi, perché si ha bisogno di farlo. Non è una scelta, piuttosto una necessità, come la religione o la politica per passione.
Fare musica significa poi fare ricerca, adottare un’etica, un’estetica e trovare un proprio ruolo nel mondo. Il posto di chi fa musica nella società contemporanea dipende molto dall’etica e dall’estetica che ti sei dato. Dipende dalla fortuna che hai, ma per la maggior parte di noi credo che il posto nella società contemporanea sia estremamente marginale.
Se la musica, pur essendo un mezzo potentissimo, avesse potuto davvero cambiare il mondo, secondo il vecchio slogan, allora il mondo di oggi rispetto a quello degli anni sessanta dovrebbe essere migliore. Ma non mi sembra proprio guardandomi in giro. Una rivoluzione culturale ci sarà pur stata, ma ha portato all’affermazione di una nuova classe dirigente foriera di un modello di sviluppo economico oggi giunto al collasso. Senza allontanarci troppo dalla tua domanda, non credo che la musica in sé possa avere una valenza “salvifica”. Quello che si può fare è portare avanti la propria battaglia, magari insieme ad altri. Non tanto per sperare di cambiare il mondo, ma per raggiungere almeno l’animo delle persone a noi affini.

Grazie Enrico!
Empedocle70

venerdì 26 marzo 2010

Intervista a Enrico Coniglio, quarta parte


Ti propongo un gioco: ti faccio alcuni nomi, che penso siano legati alle tue idee musicali, e tu mi dice se ci ho azzeccato e che cosa significano o hanno significato per te? Incomincio: Alva Noto, Fennesz, John Cage, Brian Eno, Steve Reich.

Quelli che mi stai citando sono tutti dei colossi, che con il loro genio hanno creato nella storia della musica elettronica una frattura tra il prima e il dopo. Il rischio è che vengano assunti come archetipi, come riferimenti assoluti, come miti da imitare pedissequamente. Sicuramente la strada dell’emancipazione dai propri riferimenti non è facile, ma vale la pena di tentare. Se non c’è ricerca non ha neppure senso cimentarsi. Essenziale è conoscere i paradigmi, non si può fare finta che non ci sia stato Cage o Eno, ma è anche fondamentale prenderne le distanze. Personalmente ci sono dischi di cui sono innamorato (Alva Noto e Sakamoto, Vrioon; John Cage, Imaginary Landscapes 1; Brian Eno, On land; Fennesz, Venice; Steve Reich, The desert music), e mi sono rimasti nel cuore. Del resto il bambino inizia a parlare per imitazione del genitore, ma poi la logica del discorso la sviluppa da sé.

Consigliaci cinque dischi per te indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta…

Come al solito domanda difficilissima, e la scelta non può che variare a seconda dell’umore. La verità è che spero non mi succeda mai dover scegliere per davvero… Oggi mi gira così: Pauline Oliveros, Deep Listening; Steve Roach, Dreamtime return; David Sylvian, Gone to Earth; Sigur Ròs, Med sud i eyrum vid spilum endalaust; Helios, Eyngia.

A proposito di dischi.. è una mia sensazione o recentemente la scena glitch sta un po’ segnando il passo … tralasciando la sperimentazione verso una “cristallizzazione” delle forme? Io ti confesso che nel 2009 di cose veramente interessanti ho ascoltato solo l’ultimo disco di Fennesz, bellissimo, e Utp di Alva Noto e Sakamoto con l’Ensemble Modern che ho trovato semplicemente fantastico… che ne pensi? Comincio a invecchiare?

Adesso che il suono glitch, se pur solamente come citazione, si è diffuso anche nelle produzioni del pop più commerciale e che la maggior parte di chi fa musica elettronica vi aderisce soltanto perché sembra essere lo stato dell’arte, forse è il caso di passare oltre, magari avendone fatto bagaglio, ma non un fine a sé stante. La ricerca del suono passerà pure per il glitch, ma non si deve fermare alla riproduzione di quello che è diventato uno stilema fatto, anche in questo caso, di regole non scritte cui tutti oggi sembrano fare riferimento. Qualche tempo fa leggevo un’intervista a Fennesz in cui il musicista sosteneva che la scena glitch fosse già vecchia, roba degli anni ’90. Beh, se lo dice lui?
Tra i dischi che mi hai citato quello che mi è piaciuto di più comunque è quello di Sakamoto. La risposta è: certo che stiamo invecchiando!

continua domani

giovedì 25 marzo 2010

Elena Càsoli a Dieci anni di poesia primavera


Dieci anni di poesia primavera
Biblioteca Civica di Verona, vicolo S. Sebastiano 3, Sala Farinati
venerdì 26 marzo 2010, ore 17

I “Metafisici” di Sanesi

Prologo: Saluto di Agostino Contò, introduzione di Gloria Rivolta, intervento di Vincenzo Guarracino
L’incendio di una rosa, Ruben Garbellini
* * *
D.Scarlatti / M.Pisati Esercizio K3 Elena Càsoli (Chitarra Luis Panormo, Londra 1846)
John Donne Aria ed angeli Annalisa Piva
John Donne Canzone Massimo Scrignòli
Aurelian Townshend A Lady May Massimo Scrignòli
John Donne Morte non essere troppo orgogliosa, se anche Annalisa Piva

D.Scarlatti / M.Pisati Sonata K37 Elena Càsoli (Chitarra Luis Panormo, Londra 1846)
Henry King Sonetto Annalisa Piva
Thomas Carew Canzone Massimo Scrignòli
George Herbert Speranza Annalisa Piva, Massimo Scrignòli
Richard Crashaw Epitaffio Annalisa Piva

D.Scarlatti / M.Pisati Esercizio K8 Elena Càsoli (Chitarra Luis Panormo, Londra 1846)
Andrew Marvell Alla sua amante ritrosa Massimo Scrignòli
Gorge Herbert Natura Annalisa Piva

L’influenza dei Poeti Metafisici nel tempo
William Blake La tigre e Hart Crane Nell’ombra Massimo Scrignòli
D.Scarlatti / M. Pisati Sonata K141 Elena Càsoli (Chitarra Luis Panormo, Londra 1846)

Testi tratti da Poeti metafisici inglesi a cura di Roberto Sanesi (Guanda, 1990)
Letture in lingua originale Alessandro Riccioni

a cura di Gloria Rivolta

La cenere di una rosa
Per i dieci anni di Poesia Primavera, un appuntamento di sottile raffinatezza con l’elegante e ineguagliata traduzione di Roberto Sanesi. Attraverso la voce di Sanesi che ci restituisce nella nostra lingua i versi di John Donne, di George Herbert, di Henry King, Andrew Marvell e di altri, con uno sconfinamento temporale fino alla Tigre di Blake e al contemporaneo Hart Crane, l’invisibile moto dell’anima acquisisce consistenza e diventa percepibile. I brani scelti appartengono a quel gruppo di poeti inglesi del diciassettesimo secolo definiti Metafisici per il loro specifico interesse verso le questioni filosofiche, il rapporto fra spirito e materia, anima e corpo, la tensione tra l’essere e il divenire, tra la caducità dell’esistenza terrena e il desiderio di immortalità. Questo genere di lirica ha influenzato la poesia fino ai nostri giorni per la sua ricchezza di giochi metaforici e allusivi, per la sua raffinata capacità di coniugare insieme amore sacro e profano, esperienza tangibile ed esperienza mistica; e soprattutto per il suo desiderio di trovare, proprio attraverso la poesia, un punto di possibile sutura tra l’angoscia dell’esistenza e l’anelito verso l’eternità e il ricongiungimento con il divino. Una poesia straordinariamente densa e ricca di immagini dunque, che spesso riescono a trasformare il pensiero e la sensazione in sentimento, ovvero, come giungerà ad affermare Eliot, “un pensiero capace di modificare la sensibilità e di essere sentito,……… come l’odore di una rosa.”

Intervista a Enrico Coniglio, terza parte


Qual è il ruolo dell’Errore nella tua visione musicale? Dove per errore intendo un procedimento erroneo, un’irregolarità nel normale funzionamento di un meccanismo, una discontinuità su una superficie altrimenti uniforme che può portare a nuovi sviluppi e inattese sorprese...

Le cose nuove si scoprono sempre per errore, tutta la storia dell’umanità ne dà conferma. Personalmente mi sono avvicinato all’errore digitale, al glitch, tentando di recuperare dei file persi dal mio computer. Dalla memoria dei file soprascritti dell’hard-disk ho riesumato dei sample audio che contenevano errori digitali - ahimè - cioè che risultavano parzialmente sovrapposti tra loro, oppure troncati, oppure trasformati in rumore. Inizialmente ho pensato di aver perso tempo, ma poi ho capito che da quei file danneggiati si poteva ricavare qualcosa di buono. Alcuni di quei glitches sono diventati parte dell’ossatura di Cloudlands uscito come Aqua Dorsa (in duo con Oophoi, per la Glacial movements di Alessandro Tedeschi).
Analogamente è così che procedo: un nuovo lavoro è sempre figlio del lavoro precedente, magari di qualcosa che si è scoperto per errore, ma che si pensa di poter trasformare in un nuovo concept.


Quale significato ha l’improvvisazione nella ricerca musicale? Si può parlare di improvvisazione in una musica così legata alle macchine come la tua o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

La musica è probabilmente sempre frutto dell’improvvisazione, magari un’improvvisazione ragionata e poi successivamente rielaborata. In tal senso la “macchina” si presta bene ad essere utilizzata in modo libero e dà il vantaggio poi di poter aggiustare e lavorare di cesello in un secondo momento. Fare musica elettronica è manipolazione del suono, suono che può essere campionato, generato oppure “performato” con strumenti analogici e acustici. L’importante è non farsi ingabbiare, anche se è vero che un software tenderà pur sempre a condurti verso schemi logici secondo i quali è stato programmato: è una sfida aperta. In fondo partiamo tutti dai preset, poi mano mano che la ricerca personale si fa più sofisticata, impariamo ad abbandonare la strada facile.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Non saprei, io ho più che altro la sensazione opposta. Un tale suono mi sembra facilmente databile, questo soprattutto per i suoni elettronici. La banalizzazione della musica avviene piuttosto perché i suoni tendono ad uniformarsi. Se pensiamo che la musica sia cultura, alta o bassa che sia, stiamo vivendo semplicemente le conseguenze della globalizzazione economica, dove globalizzazione significa omologazione, nel nostro caso del suono.
Poi ci sono altri fattori che portano al rischio dell’appiattimento, frutto di comportamenti individuali, di cui tutti noi dobbiamo fare mea culpa. Ogni nuova sperimentazione tende ad “incistarsi” e diventare un modello da riprodurre (pensa a cosa è successo alla glitch, dove si sono instaurate consuetudini laddove per eccellenza non dovevano essercene). I musicisti aderiscono alla nuova moda per sentirsi al passo coi tempi: si ha il terrore che il proprio lavoro suoni vecchio, in un mondo in cui tutto si evolve estremamente in fretta. Inoltre gli strumenti tecnologici a disposizione sono per lo più sempre gli stessi e tendono ad essere usati in modo da creare sonorità corrispondenti al genere musicale che si prende a riferimento. Il vero problema è che vorremmo tutti inventarci qualcosa di nuovo, ma non siamo nemmeno capaci di concepire qualcosa che sia al di fuori di un determinato genere.

continua domani

mercoledì 24 marzo 2010

Duo Eutonos in concerto venerdì 9 aprile 2010


Duo Eutonos

venerdì 9 aprile 2010

Frosinone, Sala Paris del Conservatorio di Musica "L.Refice"
Eugenio Becherucci: chitarra
Stefania Cimino: violino

“Cantos”

Programma

Eugenio Becherucci
"Canzone siciliana"

Soghomon Soghomonyan
"Quattro Canzoni Armene"
Antuni
Circe
Chinar es
Teke
Arrangiamenti di Eugenio Becherucci

Daniel Zimbaldo
"Cantos de la Espana ausente"
Hanacpachap
Secretos
Noches, noches
Yo m'enamori d'un aire

Eugenio Becherucci
"Fantasia Catalana"
Chinchana
El mestre
El testament d’ Amelia
La nit de nadal
La pastoreta

Video: Irish Sea Part3

Intervista a Enrico Coniglio, seconda parte


Parlaci del tuo rapporto con internet e il downloading, credi che questi due fenomeni abbiano cambiato il modo in cui si produce e si ascolta la musica? Hai mai pensato di tornare al vinile?

Personalmente ho una propensione per la musica “stampata” piuttosto che per quella “scaricata”, che sia free o a pagamento. Sono irrimediabilmente legato al supporto fisico, alla matericità del disco, al fatto che mi piace rigirarmelo tra le dita, esplorare la sua consistenza, innamorarmi della sua veste grafica. Internet e downloading stanno cambiando indubbiamente il modo in cui si ascolta musica, ma non tanto il mondo in cui si produce. Pensare una release che sarà distribuita solo in formato mp3 ti porta a fare delle scelte che possano massimizzare la qualità dell’ascolto, sapendo che comunque non si può tirar fuori sangue da una rapa. C’è poi da dire che chi scarica mp3 spesso fruisce la musica direttamente dalle mini-casse del suo Pc, con l’ovvia conseguenza che il suono ne risulta estremamente povero.
Stampare in vinile è costosissimo, ma è una scelta affascinante che alcune etichette continuano a fare, penso al recente “Fifty Inner Spaces/Girl” di Janek Schaefer e Stephan Mathieu stampato da Crònica Electrònica in 50 copie. Mi piacerebbe fare un vinile, ma forse c’è il pericolo di allontanare ulteriormente un certo pubblico “medio”… Quanto a “tornare al vinile”, mi suona un po’ come un’operazione di archeologia musicale.


A volte ho la sensazione che la possibilità di scaricare tutto, qualunque cosa da internet gratis abbia creato una frattura all’interno del desiderio di musica, una sorta di banalizzazione: insomma dov’è la spinta per un musicista a incidere un disco che con pochi euro riesci da solo a registrare e stampare quello che vuoi e chiunque può farlo? Alla fine diventa quasi un gesto quotidiano che si perde in un mare di download dove scegliere diventa impossibile … stiamo entrando in un epoca radicalmente diversa da quella che abbiamo vissuto finora? Come poter scegliere?

La possibilità di produrre musica in modo economico, cioè di poter disporre di un proprio studio a costi contenuti, ha aumentato a dismisura l’offerta. Questo, unito alla possibilità del download, ha generato un proliferazione indistinta, oltre che di musica, di net label che la veicolano. C’è da perdere la testa, è un vero e proprio oblio, un flusso di dati che rischia di travolgere tutto, musicisti, ascoltatori ed etichette. L’unica possibile bussola è la qualità.
Il musicista deve frenare la sua ansia creativa e limitare le proprie release: non si può “spammare” con la propria musica. L’ascoltatore deve scaricare con parsimonia: per ascoltare ci vuole tempo e pazienza, non ha senso riempirsi l’hard-disk di album inascoltati. Le net label devono selezionare di più: non è che siccome sarà un free download allora si deve dire di sì a tutti.
Tra una ventina d’anni parlare di un disco stampato farà ridere i nostri figli e ci ritroveremo la soffitta piena di scatoloni di cd stipati, ma non per questo bisogna pensare che questa rivoluzione digitale vada subita e così porti alla banalizzazione definitiva della musica e del suo ascolto.


Sei un musicista veneto... come vedi la possibilità di fare musica elettronica o comunque avanguardia in una città come Venezia che da una parte sembra ormai addormentata nel suo passato e d’altra ospita un evento come la Biennale?

Venezia non sarà mai una città all’avanguardia per molti motivi che non sto ad elencare. Quanto a me ho rinunciato da un pezzo all’idea di trovare consenso in patria. Venezia è una vetrina di eventi internazionali, quanto alla Biennale potrebbe tranquillamente essere trasportata in un altro pianeta, perché di ricadute sulla città ne ha ben poche. È uno spazio blindato, per un elite di turismo culturale che si definisce ancora “alto” e che non dà spazio se non ai nomi importanti della scena internazionale.
A Venezia si sopravvive come comparse o spettatori del suo inevitabile declino, cosa che in fondo cerco di raccontare con la mia musica. La sua decadenza è la mia ispirazione, la frustrazione di abitarla la mia dolce condanna. Perché alla fine non mi immagino in un altro posto che questo. Sarò qui fino a quando il mare non se la porterà via, e non manca molto a sentire le ultime previsioni sullo scioglimento dei ghiacci.

continua domani

martedì 23 marzo 2010

Video: Irish Sea Part2

Enrico Coniglio





Intervista con Empedocle70









Videos






Intervista a Enrico Coniglio prima parte



Caro Enrico .. allora da quanto tempo sei nella musica e perché? Qual è il tuo background?

Caro Andrea… sono nella musica seriamente da pochissimo, forse soltanto da oggi stesso, ma ho dei trascorsi piuttosto lunghi. Il mio background è quello della band di provincia, delle prove il lunedì sera a tutto volume, dei concertini in cui la gente si annoia e il proprietario del locale fa storie per pagarti, dei concorsi in cui vieni fischiato e arrivi ultimo. Poi un giorno, verso il 2002, ho barattato il mio Marshall con un Pc ed è stata la mia piccola svolta. Diciamo che ho lasciato il rock per dedicarmi a quella che - forse ingenuamente - mi figuravo allora come “musica d’atmosfera”, ancor prima di conoscere l’esistenza dell’ambient music. Poi ho capito di essere finito dentro un genere e mi sono riconosciuto nella sua estetica.
Il mio strumento è sempre stato principalmente la chitarra, soltanto negli ultimi anni ho definitivamente disimparato a suonarla. Il mio approccio, oggi, è questo anche quando mi servo di altri strumenti: per generare del “suono” non serve essere dei virtuosi. Il resto è tutto un lavoro di post-produzione.


La tua musica trasmette una certa sensazione di minimalismo, sei legato a questa corrente musicale?

La mia musica non è affatto minimalista, anzi pecca spesso di essere ridondante. Bisogna poi mettersi d’accordo su che cosa si intende per minimalismo, se ci riferisce alla semplificazione della struttura armonica e alla ripetizione del modulo (il minimalismo di La Monte Young, Reich, Glass tanto per capirci), o se parliamo in modo generico di suono rarefatto e tendenza all’essenzialità. Si deve in ogni caso ammettere che l’ambient music, da definizione, è legata alla filosofia minimalista, ma ritengo che tali canoni, se mai sono stati più o meno implicitamente definiti, siano oggi superati. Fare musica ambient significa emanciparsi dalla “regola”, sennò non c’è ricerca. Molta musica ambient-drone ad esempio è fatta di suono massivo, ma è al tempo minimale e non c’è nessuna contraddizione.

Come è nata la collaborazione con la net label Laverna?

Mi ha contattato Mirco Salvadori attraverso myspace, poi abbiamo scoperto di essere della stessa città, non solo, ma di abitare a cinquecento metri l’uno dall’altro. Non è incredibile? Abbiamo bevuto insieme un buon bicchiere e ne è venuta fuori l’idea di fare un lavoro per Laverna. Devo ammettere che è stato proprio Mirco a spingere per un concept sperimentale, perciò Glacial lagoon è un lavoro che in qualche modo dedico a lui e alla sua decadente visione di Venezia. Poi il sodalizio con Laverna si è fatto più stretto conoscendo anche Mario Marino (Molven) e Lorenzo Isacco. Il bello di Laverna è che è un gruppo aperto, collaborativo, sempre alla ricerca di nuove sinestesie. Laverna forse è oggi l’emblema di quello che dovrebbe essere un’etichetta: oltre a occuparsi di release è il luogo ideale di incontro di persone che mettono insieme diversi talenti nel campo della musica, informatica, videoarte, fotografia, letteratura...

continua domani

lunedì 22 marzo 2010

Video: Irish Sea Part1

Enrico Coniglio: Biografia



Nasce a Venezia nel 1975. Partendo da un'iniziale bisogno di sperimentare le diverse forme della Ambient music, con particolare riferimento al paesaggio sonoro della laguna di Venezia, la sua ricerca si è sempre più focalizzata sul rapporto tra musica e rappresentazione dei paesaggi del contemporaneo.

Ha collaborato con diversi artisti tra cui Nicola Alesini, Hans Joachim Roedelius, Arlo Bigazzi, Massimo Liverani, Rick Walker, Elisa Marzorati, Arve Henriksen, Rena Jones, Oophoi, Emanuele Errante e altri. Recentemente ha partecipato al Planet Love Summer Session (Meath, Ireland 2008) e al Big Chill festival (Eastnor Castle, Birmingham, UK 2009) con Mixmaster Morris.

Releases
- Grammatologia (CD- 2002 Velut Luna)
- AREAVIRUS: topofonie vol.1 (CD- 2007 Psychonavigation)
- DyanMU, E. Coniglio & E. Marzorati (CD- 2008 Psychonavigation)
- Cloudlands, E. Coniglio & Oophoi (CD- Glacial Movements 2009)

Podcast and digital releases
- Sapientumsuperacquis, Touch Radio (Touch music)
- Abibes, Cronicaster (Cronica Electronica)
- Glacial Lagoon (Ep - Laverna net 2009)

Compilations
- An Taob Thuathail vol. 2 (CD- Psychonavigation 2008)
- Zaum Vol. 1 (CD- Psychonavigation 2009)
- Y9 (CD- Psychonavigation 2009)

http://www.enricoconiglio.com/info.asp

sabato 20 marzo 2010

Virginia Arancio e Deseo de Tango in Concerto a Marzo


Venerdi' 26 Marzo 2010
Quintetto Deseo de Tango
Musica di A. Piazzolla, R. Mederos, H. Potenza.
Musikklub Mehrspur, Zurigo

Sabato 27 Marzo 2010
Quintetto Deseo de Tango
Musica di A. Piazzolla, R. Mederos, H. Potenza.
Schneckenmannstrasse 8, Zurigo

Martedi' 30 Marzo 2010
«Die Verschollenen» (2010)
Ein szenisches Konzert für fünf MusikerInnen-PerformerInnen von Leo Dick (*1976)
Barbara Berger (Gesang)
Waël Sami (Gesang)
Virginia Arancio (Banjo)
Susanne Zapf (Violine)
Samuel Stoll (Horn)
Pascal Viglino (Schlagzeug)

Kleintheater, Bundesplatz 14, Luzern
http://www.forumneuemusikluzern.ch/

Simone Sorini con Micrologus in "Per Tropo Fede"

Recensione di “Sordellina, Colascione Buttafuoco in Renaissance Naples” di Lìrium Lì Tronc, Stradivarius 2009


La passione è uno dei meccanismi più interessanti e potenti dell’animo umano, unita a un lavoro tenace e costante produce risultati inattesi e poetici, in grado di cambiarti la giornata.
Non saprei come altrimenti cominciare la recensione di questa nuova uscita discografica per la Stradivarius, un disco decisamente particolare a cominciare dal suo stesso titolo “Sordellina, Colascione Buttafuoco in Renaissance Naples”. Termini mai incontrati prima d’ora e perfino sconosciuti su Wikipedia, tant’è che ho dovuto sguinzagliare Google per saperne di più. Ne valeva la pena: le musiche di questo cd infatti sono eseguite con i principali strumenti a corde tipici dell’area napoletana in epoca rinascimentale, il colascione e la chitarra, qui, per la prima volta, riproposti insieme alla sconosciuta sordellina, una zampogna di corte, e il popolare buttafuoco (un salterio a percussione).
Da bravo collezionista di dischi e ascoltatore tenace di musiche diverse sono sempre alla ricerca di cose nuove su cui “appoggiare” le mie orecchie, cose stimolanti, che possano funzionare da “inneschi culturali” per creare delle nuove esperienze, delle nuove idee, nuovi percorsi emotivi. E questo disco svolge efficacemente questo compito: è musica viva, fresca, suonata con gusto e tanta passione e allo stesso tempo genera in me una serie di domande. Sì perché qui ci troviamo di fronte a un repertorio colto di danze italiane della seconda parte del ‘500 e del primo ‘600, proveniente dal prezioso manoscritto di Giovanni Lorenzo Baldano (inedito fino a pochi anni fa) , alternato a villanelle e moresche napoletane. Così tanto diverse dalle pizziche che risuonano nel Salento? Non sono un esperto ma non credo, sento anzi delle chiare affinità tra le musiche popolari odierne e questo musiche rinascimentali, musiche di corte certo, musiche colte, ma così tanto lontane dalla musica popolare di allora?
Nel frattempo grazie alla passione e all’amore per la musica dei quattro musicisti che compongono l’ensembre Lìrium Lì Tronc (Goffredo Degli Esposti, Mauro Squillante, Simone Sorini e Marcello Vitale) questi due strumenti, il buttafuoco e la sordellina , tornano a suonare dopo circa 4 secoli di silenzio dopo una paziente ricostruzione in base ai disegni, pitture e cronache dell’epoca. Godiamoceli. Disco indispensabile per gli amanti delle operazioni musicali filologicamente corrette. Registrazione pulita e equilibrata.

Empedocle70

venerdì 19 marzo 2010

Karen Saillant: UNLOCK your breath

UNLOCK your breath
- Your Key to an Expressive Voice and Body
Malta
6th - 10th September 2010
20th - 24th July 2011
The is activity is intended singers and voice coaches of lyrical singers

Full scholarships are available to cover travel, room and board. The deadline for application is April 15.

Carl Stough was able to restore hospitalized, bedridden, emphasema patients to natural, easy breathing (we have cinefluorographic films of their restored diaphragms) through a series of isometric exercises that he developed. Carl was called by The US Olympic Team to work with The Track and Field Team for the high altitudes of Mexico in 1968 Olympics. His team won more gold medals than in any prior Olympics, their records would stand for 25 years and they were the only team not to need oxygen. Before his death, Carl designated Karen Saillant as one of a handful of people to share this revolutionary work. Karen will give master classes in Malta in September. There are full schoalrships available for EU residents. Application deadline for scholarships is April 15th.
http://sites.google.com/a/oafmalta.org/learning-at-oafmalta/training-programme-2009/september2009unlockyourbreath

Simone Sorini con Micrologus - "Ecco la Primavera"

Intervista con Simone Sorini, quarta parte


Quali sono invece i vostri cinque spartiti indispensabili?

Medici Codex 1518 (l’intero codice)
Bella Gerit Musasque Colit (tarsia in legno ad Urbino)
Vespri del Natale di L. Meldert (frammenti) 1587(?)
Le analisi Shenkeriane dei minuetti di Bach
I miei



Con chi le piacerebbe suonare e chi le piacerebbe suonare? Che musiche ascolta di solito?

Mi piacerebbe suonare (ancora) con mio padre, mi piacerebbe suonare tante facce che vedo (troppo) spesso sui quotidiani, ascolto davvero di tutto con una forte predilezione per le rarità rock anni 60

Quali sono i vostri prossimi progetti? Su cosa state lavorando?

Sto lavorando a progetti per il teatro, non musica per il teatro ma teatro per musica. Ho appena rappresentato con i miei colleghi di Urbino il De Divina Proporzione, verso un nuovo rinascimento europeo!

Le faccio un’ultima domanda … un po’ particolare .. Vi confesso di essermi avvicinato al repertorio rinascimentale per vie non proprio “canoniche” ma tramite l’ascolto delle musiche di Angelo Branduardi e di alcuni chitarristi inglesi folk come John Renbourn, Berth Jansch, Stephan Grossmann .. volevo chiederle se li conosce e che opinione ha del loro modo di suonare queste musiche…

A parte Branduardi (che comunque amavo da ragazzetto) adoro i chitarristi che hai menzionato, anche se non sono mai riuscito a scollegarli dai gruppi storici di cui facevano parte come i Fairport e i Pentangle.

Grazie
Simone Sorini


Grazie a Lei Maestro!

Empedocle70

giovedì 18 marzo 2010

Maurizio Pisati, Alle fünf 21 marzo 2010


• 21 marzo 2010, h. 17.30, Torino Teatro Vittoria, via Gramsci 4
(prima esecuzione: 13-11-2009, Riva del Garda, Auditorium Conservatorio)
-ALLE FÜNF-
Percussione (3TomTom, 5ThajGong, LogDrum, Catene, Vetri),
Voce, TracciaAudioVideo
Musica Maurizio Pisati
Testo e Voce Paolo Nori
Regia Amedeo Savoia
Percussione Riccardo Balbinutti
Video Max Bertolai

• Preludio del pianto - Sul muro I - Children’s War Questions - Sul muro II - Postludio zum Tode
• Alle fünf, tutti e cinque a morte: con queste parole, dopo la strage nazifascista del 28 giugno 1944 a Riva del Garda, il regime compie l’ennesimo tentativo di estorcere un tradimento a cinque prigionieri in giovane età. Per alcuni di loro, e per tanti altri, fu la fine di ogni età, mentre per quelli che poterono e vollero continuare a lottare, fu il momento in cui si trovarono cresciuti e responsabili della propria e dell’altrui salvezza.


Alle fünf è una musica in cinque momenti, come scritta sui muri, dove il suono tenta con rispetto di tornare indietro nei cuori e nella memoria, per ritrovare il coraggio e la forza di piangere. Il pianto per le guerre, in fondo, è sempre pronto e, allora come oggi, spesso nasce da una scritta sul muro, una scrittura così forte da accendere il fuoco.
In Alle fünf suonano pelli, legni, metalli, vetri, una voce, le campane di Riva e le pietre della Rocca, domande di bambini sulla guerra, voci sparse

Simone Sorini - "Lirum Li Tronc" - con Degi Esposti, Squillante, Vitale

Intervista con Simone Sorini, terza parte


Qual è il vostro rapporto con la casa discografica Stradivarius? Come è nato il progetto per questo disco? Avevate già avuto altre esperienze con la Stradivarius? Volete raccontartci qualche aneddoto successo durante la registrazione del disco?

Registrammo nel teatro di corte della Reggia di Caserta, e solo questo fu abbastanza per potersi calare intimamente nella musica che stavamo registrando, un privilegio che non capita spesso.
E’ il mio primo disco con la Stradivarius


Quale significato ha per voi l’improvvisazione nella vostra ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Si deve sempre poter parlare di improvvisazione nella musica, in quella antica se non lo si fa (almeno parlarne..) si incorre in un grossolano errore di valutazione, le note non sono certo solo quelle scritte ma ben altre

Spesso si sente un gran discutere sulla necessità o sull’inutilità di una buona tecnica esecutiva, a vostro parere quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a un buon livello di “sicurezza”? Ve lo chiedo anche perché ho notato che suonate più strumenti

La tecnica nasce e si sviluppa sullo strumento, il proprio, che sia una chitarra o una laringe, un maestro può solo metterti sulla strada. Un artista che sia un artista non impara la tecnica a scuola, la inventa e la costruisce giorno per giorno sul proprio strumento o strumenti

Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?

La tecnologia allarga i confini, facilita la diffusione, migliora le condizioni di ascolto, si deve solo trovare il modo di pensarsi (anche commercialmente) all’interno di essa e del suo costante cambiamento

Ci consigli cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta..

Premetto che i seguenti titoli li scelgo in quanto opere difficilmente riproducibili in spartiti, per tutta l’altra musica preferisco sempre questi ultimi all’ascolto di una registrazione:

NIck Drake- Five leaves left/ Pink moon
Beatles- Revolver
Asmahan- registrazioni storiche
Pink Floyd- Meddle/Ummagumma
The Bothy Band/ tutti i dischi

continua domani

mercoledì 17 marzo 2010

Sabato 20 marzo Concerto Quartetto Santorsola


CONCERTO
QUARTETTO SANTORSOLA
Antonio Rugolo, Angelo Gillo,
Vincenzo Zecca, Livio Grasso


Presentazione del
Nuovo Disco
“Suonare Records”
Prima esecuzione assoluta
CLAPS II di Davide Ficco

SABATO 20 MARZO 2010 - ORE 19.30
SALONE DELLA CIVICA SCUOLA DI MUSICA
CASTELLANETA
Ingresso Libero

Musica Barocca - Vivaldi - Simone Sorini in "L'altero e bianco giglio" da "Serenata" -Teatro Rossini

Intervista con Simone Sorini, seconda parte


Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

E’ esattamente una delle enormi differenze che intercorrono tra noi e i musicisti del passato, la facilità di reperimento e fruizione di stili musicali diversi è un frutto della nostra epoca che va a scapito della profondità e la veridicità dell’espressione musicale, pur non essendo in se un fatto negativo. La poliedricità dell’interprete del nostro secolo è cosa buona nella misura in cui egli ne sia perfettamente cosciente e sappia dare una lettura dell’opera musicale del passato consapevole e ricca di significato, anzi di significaTI

Luciano Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quanto diventa un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che ruolo possono assumere la musica in questo contesto?

Io trovo semplicemente che la musica non è mai passato, non parla mai una lingua morta, è l’unica espressione artistica umana che presuppone fortemente il “qui e ora”, non vedo connessioni tra la musica e il passato, soprattutto per quanto riguarda la musica antica, che è quanto più legata ad interpretazioni figlie di mode filologiche continuamente in cambiamento, molto più ad esempio della musica del secolo scorso.


Il vostro disco è un esempio perfetto della numerosa serie di “riscoperte” di autori e di spartiti musicali finora trascurati con nuove edizioni musicali estremamente curate dal punto di vista filologico (strumenti d’epoca, recupero delle trascrizioni originali, etc), a cui stiamo assistendo di recente, ritenete esaurita la ricerca storica sugli autori originali per chitarra dei secoli passati o credete che possano ancora verificarsi “scoperte” di repertorio inedito di rilevante valore?

Anche qui si dovrebbe dire che le scoperte non finiscono mai, la storia della musica (come quella della società) è formata alla base da eventi minori, protagonisti minori e dimenticati che esistono molto più dei grandi nomi dei quali si sa gia tutto. Gli eventi e i protagonisti minori sono un numero sconfinato, solo quando avremo la capacità di intendere la loro voce verranno a farsi conoscere, per ora giacciono negli archivi, tenderei ad escludere il ritrovamento di partiture autografe di Sor o Villa Lobos, ma per tutti gli altri veri protagonisti della storia il campo è apertissimo a nuove scoperte

Parliamo di marketing. Quanto pensate che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi? E in confronto al passato? Il mecenatismo illuminato è stato semplicemente sostituito dal libero mercato?

E’ importantissimo, tanto quanto lo è stato in ogni passato. Ma Il mecenatismo come tendiamo ad interpretarlo oggi è quasi una diceria, in realtà fu una forma propagandistica e una arma politica in mano ai potenti esattamente come POTREBBE esserlo oggi se solo i nostri governanti avessero i mezzi umani per capacitarsene.. meglio così! Meglio il libero mercato

continua domani

martedì 16 marzo 2010

Musica Antica - "Chitarra Latina" (asc. 40") - Simone Sorini

Intervista con Simone Sorini, prima parte


Come è nato il vostro ensemble e cosa significa il suo nome?

Il nome del gruppo fa riferimento ad alcune onomatopee presenti in brani del repertorio che eseguiamo, nella fattispecie il suono della sorellina (lirum lirum li) e del liuto o colascione (tronc tronc)

Qual è il vostro background musicale e che strumenti suonate? Volte parlarci di questi strumenti particolari che danno anche il nome al vostro cd: Sordellina, Colascione e Buttafuoco? Come è nata l’idea di questo recupero?

A questa domanda credo risponderanno nel dettaglio Squillante e Degli Esposti, per quanto mi compete, a parte il fatto che anche io sono strumentista (liuti) oltre che cantante, ho cercato di immaginare un prassi esecutiva vocale che si avvicinasse al suono degli strumenti che mi accompagnano, ad esempio la assoluta assenza di messe di voce o di dinamiche espressive è una scelta dettata oltre che dalla contestualizzazione cronologica del repertorio, anche e soprattutto dalla tecnica esecutiva della sorellina che impone determinate scelte stilistiche.

Ascoltando la vostra musica mi sono fatto l’idea che veniate da una grande molteplicità di ascolti e di influenze, come gestisce questi frammenti di memoria musicale nelle vostre esecuzioni? Li utilizzate consciamente o …. li lasciate liberamente fluire?

Il mio retroterra musicale è estremamente ampio, va dal rock alla musica classica. Nessuna suggestione (o casuale citazione se c’è) però è a livello conscio, tutto fluisce liberamente come da una enorme banca dati

Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novencento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona un repertorio tradizionalmente classico … si riconosce in queste parole?

Se interpreto bene il senso della domanda mi trovo perfettamente in sintonia con l’affermazione di Berio. Per quanto mi riguarda non avrei mai potuto interpretare la musica antica senza essere stato scalfito in tenera età, ad esempio, dalla musica dei Beatles o dei Pink Floyd

Trovo estremamente affascinante l’idea di riproporre con rigore filologico un repertorio di diversi secoli fa, interpretandone la musica con strumenti d’epoca. Quanto però può essere diverso il vostro modo di suonare rispetto a quello dell’epoca? E quanto è cambiata la società e il modo di fare e percepire la musica…

Il modo di suonare cambia di pari passo con la società, il ricorso agli strumenti antichi è solo un tentativo di ritrovare una prassi strumentale o vocale inevitabilmente perduta. Cerchiamo di reinventare un passato o una cultura del passato con strumenti che le erano propri, ma noi siamo diversi, il mondo è diverso, il risultato sarà sempre e solo una rilettura da parte di uomini che vivono in un altro mondo, non per questo priva di fascino o di valore, partiamo solo dall’idea di quanto diverso era il bacino di fruizione dell’opera musicale, per chi e in quali situazioni si faceva musica 500 anni fa, questo dovrebbe far riflettere molto.

continua domani