giovedì 24 settembre 2009

Intervista con Chiara Asquini di Empedocle70 parte terza


Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

“Improvvisare non s’improvvisa” e quindi, per ora, l’improvvisazione non ha spazio nella mia ricerca, ma spero che cominci ad averne uno, e poderoso, presto. Penso che ci sia molta improvvisazione nel repertorio classico senza necessità di uscire dal “classico”. Esistono brani che hanno carattere improvvisativo o che sono vere e proprie improvvisazioni scritte. Basta pensare ad una pietra miliare come Serenata per un satellite di Maderna, dove si esplica il concetto di “campo”, territorio di possibilità. La musica è scritta…ma s’improvvisa. Ci sono notevoli parametri definiti dal concertista o dal direttore al momento dell’esecuzione. (in calce allo spartito, la scritta stessa di Maderna d’improvvisare “ma con le note scritte”) Basta pensare alla Passion selon Sade di Bussotti, a Volo solo di Cardew (per un “virtuoso di qualsiasi strumento”), a Transicion II di Kagel o ai Graph Pieces di Feldman…opere in cui la capacità d’improvvisazione dell’interprete viene sfruttata e “prescritta in partitura”…e sono opere “classiche”!...ok…classiche-contemporanee, ma è una distinzione che non faccio…

Ascoltando la sua musica ho notato la tranquilla serenità con cui lei si approccia allo strumento indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostrando sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?


Mi lusinghi…il lavoro sulla tecnica è fondamentale, nel senso che la sicurezza delle dita dà libertà alla tua arte, all’espressione musicale ed al pensiero artistico. E’ fondamentale in senso assoluto per me lo studio lento, anzi lentissimo…una sorta di tai-chi musicale, per assumere consapevolezza di ogni singolo movimento del mio corpo e delle mie dita. Detto questo, il mio personale “controllo” è tecnico, ma non emotivo. Avere la sicurezza che le mie dita faranno ciò che io voglio che facciano, fa in modo che durante un’esecuzione, durante un concerto o una registrazione io mi posso dedicare a cercare ed ad essere energia…solo energia. E’ una libertà, un librarsi in aria che altrimenti non ci si può permettere ma preferisco essere, ricevere e dare energia mentre suono piuttosto che risultare “perfetta”, ma fredda. E quindi morta.
C’è poi da dire che, grazie anche a questo tipo di lavoro, riesco ad arrivare sempre molto tranquilla, senza ansia né tensione ai concerti: sono semplicemente concentrata. Mi stupisco anch’io ogni volta!

Lei ha pubblicato sul blog Chitarrablog.it un bell’articolo “Frank Martin – Ethik/Etica” dedicato all’importanza dell’etica per questo compositore, come pensa che la sua personale visione dell’etica si sia riflessa nella sua musica? Come mai questo suo interesse e approfondimento per Frank Martin?


Rispondo prima alla seconda parte della tua domanda. L’interesse per Frank Martin è nato nel 2003-2004, quando scelsi il brano “contemporaneo” da presentare al mio diploma e la scelta cadde sui Quatre Pieces Breves. Le sue composizioni sono sempre pervase da un’energia così incredibile che non penso sia possibile rimanerne fuori. E’ qualcosa che ti colpisce dentro, qualcosa di esaltante, potente e catartico. Ricordo che Yehudi Menuhin, personalmente il violinista che prediligo, disse che quando suonava Polyptyque sentiva la stessa responsabilità e la stessa esaltazione di quando eseguiva la Ciaccona di Bach. Vedi, i Quatre Pieces Breves richiedono la stessa dedizione assoluta che si dà di norma ad una suite di Bach e, almeno a me, danno anche la stessa esaltazione, lo stesso senso di “purificazione”. Da qui è partita poi la ricerca, la lettura della sua biografia (in tedesco), l’ascolto di altre sue opere. Sono sempre felice quando vado a sentire un concerto e c’è qualcuno che esegue una composizione di Frank Martin.
Per rispondere alla prima tua domanda, vorrei proporti un “percorso” attraverso un’immagine universalmente conosciuta: L’Urlo di Munch. Ognuno di noi ha ben presente il quadro, ognuno ha le sue personali emozioni di fronte alla sua vista e tralaltro può “piacere” come no…ma penso che si posso universalmente affermare che è un quadro che esprime disperazione, solitudine, angoscia, baratri neri. Personalmente lo trovo devastante, eppure è il mio quadro preferito e sfido chiunque ad affermare che non è un’opera d’arte. Ora rimaniamo un attimo con questa immagine nella mente e con le sensazione che questa evoca mentre ricordiamo che Martin scrive a proposito dell’etica: “…E anche quando ci si occupa di qualcosa di brutto l'arte dovrebbe essere di per sé così bella che la bruttezza viene completamente cambiata. La bellezza porta quindi in sé una forza che libera il nostro spirito…”
Notiamo qualcosa? Si! Questo è un quadro che sicuramente parla di qualcosa di “brutto”: l’essere invisibile nella società, la solitudine profonda dell’animo, l’urlo d’angoscia e disperazione. Eppure l’arte, il come Munch ha “espresso” tutto questo, è così bella che persino questo stato di “bruttezza” viene cambiato. La bellezza di questo quadro ci porta dentro di esso, ci fa scorgere abissi di disperazione, ma la stessa ce ne fa uscire…cambiati. Liberi.
Ora, prima che tu mi chieda “che c’entra”, torniamo a Martin… restringo un attimo il campo ai soli Quatre Pieces Breves che tutti conosciamo… trovo che tutta l’opera sia un continuo alternarsi di momenti d’ansia, a volte sottile e quasi sfuggente, a volte illusoria, altre decisamente opprimente alternate a momenti di purificazione, di liberazione e pace… in particolare ricordo che ho sempre pensato che il terzo movimento potesse essere la rappresentazione musicale dell’urlo munchiano…è teso, forte, patologicamente angosciante, un urlo espressionista di solitudine (o almeno, io lo vedo così), mentre il quarto, Comme une gigue, ricorda un valzer fantasma, il martellare degli scarponi dei soldati che vanno in guerra, le perquisizioni delle SS…e alla fine la liberazione. L’etica di Martin mi sembra così evidente qua. Un piccolo viaggio negli Inferi e ritorno. Un viaggio di una bellezza talmente straordinaria che la “bruttezza” intrinseca viene completamente sublimata e possiamo vedere il nostro spirito che si libera dei fardelli… “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli e David Tanenbaum, David Starobin, Elena Casoli, Arturo Tallini, … si può parlare di una scena musicale? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?


Presentata così, sembra una piccola setta di adepti dediti a strane pratiche musicali! Invece penso che semplicemente ci sono musicisti che si occupano prevalentemente di musica contemporanea (con tutto ciò che questo comporta), così come ci sono musicisti che si occupano di musica barocca, o della pratica su strumenti originali, o di musica rinascimentale…forse a volte fa solo più “effetto” dire “quel tale ha fatto un concerto suonando Kurtag e Scelsi” piuttosto che riferire di un concerto su chitarra romantica. Ma se ci pensi anche i primi concerti sulla chitarra d’epoca facevano un effetto particolare…è solo questione di tempo.
Sai…tenendo comunque presente che negli anni ci sono sempre più musicisti che si avvicinano alla pratica del contemporaneo, la differenza rispetto ad un tempo mi sembra più che altro l’attenzione che si dà a questa cosa. Ora ci sono più articoli, più contatti…più iniziative (accessibili a tutti), più concerti in cartellone, più compositori che prendono “coraggio” e si buttano nella composizione per chitarra…ci sono blog che trattano solo di musica contemporanea, ci sono più corsi di questo tipo e questo è un bene. La “scena” musicale c’era già prima, era solo meno “visibile”, meno “patinata” in un certo senso.
Altri nomi? Me ne viene in mente essenzialmente uno: Emanuele Forni. E’ davvero bravissimo!



Lei è presente con diversi video su youtube che la riprendono in situazioni di esecuzione di pezzi dal vivo, come mai queste scelte e lei pensa che come già avviene in altri ambiti musicali anche la musica classica possa essere adottata per un uso innovativo del mezzo video-multimediale, così come è avvenuto per la trilogia “quatsi” di Godfrey Reggio per le musiche di Philip Glass?


Ti rispondo con una domanda: “why not?” Le registrazioni che sono apparse su YT (e che riguardano Synthesis, il duo fondato con il pianista Paolo Troian) non hanno nulla di innovativo, se non il fatto che riguardano un tipo di ensemble che si sente di rado. La Qatsi Trilogy in compenso è ed è stata assolutamente innovativa e rivoluzionaria. E comunque la mia risposta permane “perché no?”… non trovo assolutamente nulla di sconveniente al fatto che la musica classica/classica-contemporanea sia adoperata in maniera nuova, innovativa e perché no rivoluzionaria in ambito multimediale. Ormai non è più tabù e sono contenta che ci siano molte persone che si occupano di questo, corsi, compositori che si confrontano da principio con questo…why not?

So che lei ha passato l’esame di ammissione presso la Hochschule der Kunste für Musik und Theater di Berna come mai la scelta di frequentare questa scuola e cosa si aspetta da essa?


Mi aspetto di collaborare con musicisti d’esperienza, talento e calibro; di avere contatti con queste persone e di far nascere delle collaborazioni, dei progetti…un futuro. Mi aspetto di correre dalla mattina alla sera e forse anche durante la notte perché 24h non bastano mai, ma è qualcosa che trovo assolutamente stimolante! Mi aspetto inoltre di trovare un ambiente musicale (e sottolineo, musicale, non prettamente chitarristico) dove non solo “posso” esprimermi al massimo, ma “mi viene richiesto” il massimo. Per rispondere alla prima parte della tua domanda…mi è stato insegnato che se devo pescare, vado a pescare nel mare grande. Dal momento in cui ho voluto studiare ed approfondire la musica contemporanea, la scelta è ricaduta subito su un insegnante (Elena Casoli) che si occupa, e in maniera incredibile, di questo da molto tempo e su una scuola (la HKB) che mi desse veramente la possibilità di avere contatti internazionali, una scuola dove suonare determinati brani del repertorio non è considerato “sacrilegio”, una scuola che offre determinate possibilità ai suoi studenti (ovviamente impegnandosi al massimo). Ti posso solo dire che l’11 maggio ero lì e mi sentivo Alice nel Paese delle Meraviglie…non vedo l’ora di tornarci!

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?


Il fatto in sé che passato e futuro diventino a volte elementi intercambiabili non mi sembra negativo, anzi…spesso proprio da questa mancanza di confini e dall’ascolto senza compartimenti stagni nascono idee notevoli, accostamenti bellissimi e particolari. A volte ci si rende conto di elementi in comune, di fili rossi che scorrono tra un’epoca ed un’altra, tra un brano ed un altro…e sono scoperte meravigliose.
Mi spaventa un po’ la visione uniforme che profetizzi. Non avere il senso del decorso cronologico, dell’evoluzione di una scrittura; non sapere cosa viene prima e cosa dopo, ma in maniera acritica…in maniera “ignorante” inteso proprio che la “si ignora”…questo sì è negativo, come è negativa l’ignoranza in genere. In particolare questo tipo di “globalizzazione” non permette di notare quei collegamenti di cui parlavo poco fa, non ti concede di creare degli accostamenti, perché non noti nemmeno le differenze. Una cosa è sapere, conoscere, aver approfondito e scegliere di ascoltare senza freni, senza limiti, senza pregiudizi…un’altra, e ben diversa, è non sapere e credere che sia tutto uguale.


continua domani ...

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