martedì 25 marzo 2008

Guida introduttiva agli strumenti musicali meccanici, parte quarta



Si trattava naturalmente di uno strumento poco pratico e poco fortunato perché oltre a non soddisfare gli esegeti più raffinati, non si poteva definire neppure strumento popolare. Esso non aveva una gran voce, era impreciso nell'esecuzione ed era difficilmente trasportabile. Quasi contemporaneamente ad esso, sempre in Inghilterra (pare a Bristol) nasceva invece il piano a cilindro destinato a risolvere il problema della musica popolare per tutti e nelle strade fino ai primi decenni del '900. Questo piano a cilindro, di solida costruzione, poteva venire trasportato per le strade su un carro ed aveva un funzionamento semplicissimo: il chiodo del cilindro azionava un tasto tenuto da una molla; quando il tasto si disimpegnava dal chiodo esso batteva sulle corde facendole suonare. Solo ai bassi, generalmente, venivano applicati dei freni armonici per evitare di appiattire il discorso musicale, che da un punto di vista dinamico era già abbastanza approssimativo. Il merito dell'introduzione del piano a cilindro viene attribuito ad Hicks di Bristol che lavorò con i suoi numerosissimi familiari dal 1805 al 1850 a Bristol ed a Londra. Il debutto dello strumento di Hicks sulle strade delle affollate città inglesi fu un successo funestato solo dalla ostilità di alcuni cittadini che, vedendo compromessa la propria tranquillità, riuscirono a portare la questione della rumorosità della musica prodotta con piani a cilindro fino in Parlamento, ma il piano a cilindro la vinse. Dall'Inghilterra, sempre per merito della famiglia Hicks passò agli Stati Uniti (esiste ancora un esemplare firmato Hicks costruito a Brooklyn nel 1820), poi in Germania, in Francia ed in Italia, In Italia esso avrebbe trovato, nel periodo tra gli ultimi decenni dell' 800 ed i primi del '900 alcuni dei più abili costruttori e musicatori di rulli, ma già fin dal 1850 in Inghilterra alcuni italiani molto intraprendenti costruirono piani a cilindro ed apportarono un grande contributo allo sviluppo di questo strumento. Ricordiamo tra questi due nomi: Chiappa e Fersani, che nel 1878 brevettarono uno strumento che vedeva combinate assieme le corde del piano e le canne dell'organo, una specie di claviorgano da strada. Da qui, da dove il pianoforte e sicuramente anche i piani a cilindro emigrarono, una vera industria del settore si sviluppò solo dopo l'unità nazionale. Primo a seguire i sistemi in grande stile d'oltralpe fu Vosgien che, associatosi al fabbricante di pianoforti Colombo di Torino, può essere considerato il capostipite dell'industria dell'« organo » italiano. Egli fu il maestro dei grandi costruttori di Novara, Casale, Vercelli, e fu colui che diede « la linea» al piano a cilindro italiano. Lo strumento che ne nacque si distinse dagli strumenti tedeschi, francesi ed inglesi almeno quanto la musica italiana fu diversa da tutte le altre per anima, brio, popolarità. Gli « organi» di Vosgien, di GilIone, di Martelletti, di Ottina e Pellandi, di Simoni, di Montanini, di Orsenigo e tanti altri riempirono con la loro voce tenorile le trattorie, sale da ballo, ma soprattutto le strade italiane. La dicotomia sviluppatasi in seno alla musica, che la vedeva scindersi in due classi distinte, da una parte quella così detta classica e dall' altra quella popolare (più avanti definita barbaramente come leggera), la ritroviamo nello sviluppo degli strumenti automatici e soprattutto, nello sviluppo del piano, che dall'ottocento fino a gran parte del novecento fu il re degli strumenti. Da una parte si rinunciò infatti, in nome dell'economia e del sacrosanto principio della musica per tutti, alla esattezza interpretativa, alla raffinatezza del tessuto timbrico ed armonico, alla completezza del disegno melodico e si procedette alla invenzione ed alla produzione di carillon d' ogni specie, organetti di tutte le dimensioni, a canna e ad ancia, a disco, cilindro a cartone, pianini da strada, orchestrion da bar e da sala da ballo, ecc. (da un' esame più dettagliato potranno vedere che furono inventate e brevettate centinaia di macchine per far musica); dall'altra parte però, da quella così detta classica, non si rinunciò all'idea di creare l'automa perfetto, capace di eseguire musica, anche complessa, secondo scrittura, con tutte le sfumature volute dall'autore. Uno strumento, cioè, che fosse veramente capace di fare quelle cose che solo l'uomo pareva sapesse fare. Fu ancora un'innovazione studiata per il vecchio ed intramontabile organo a canne ad aprire nuove vie agli strumenti automatici e soprattutto al pianoforte che avrebbe raggiunto una perfezione insuperabile per uno strumento meccanico. Questa invenzione fu la leva pneumatica che l'inglese Barker mise a punto nel 1835 per ovviare ad alcuni inconvenienti che si presentavano negli organi troppo grandi (in cui la meccanica costituita da una serie di catenacci diventava troppo pesante). Dopo sei anni di delusioni il buon Barker vide la sua invenzione coronata dal successo, allorché il grande Cavaille ColI riconobbe i vantaggi di questa leva e l'adottò nella costruzione del grande organo di Saint Denis a Parigi. E fu a Parigi appunto che un certo Fourneaux ebbe l'idea di usare la leva di Barker per costruire un pianista a cilindro da mettere davanti ad un pianoforte. Si trattava di una macchina in cui ogni nota (chiodo) della musica del cilindro alzava una leva e abbassava un' assicella di legno in una camera d'aria. Questa inviava l'aria in un piccolo mantice che, gonfiandosi, muoveva il dito del pianista. Ma la macchina era rozza e soprattutto il suo costruttore non aveva visto la soluzione di un problema molto importante, cioè quello della durata della musica programmata che, con il cilindro, è limi ta ta ad un giro. Questo problema fu risolto con l'introduzione dell'uso (iniziato nel 1842) della musica su cartone e carta forata, uso che verso la fine del secolo avrebbe soppiantato quasi definitivamente il vecchio cilindro chiodato. Dapprima furono costruiti organetti con libri di cartone piegato a zig-zag, poi organetti portatili con dischi di carta e di lamiera e con rulli di carta forata. Questi cartoni aprivano e chiudevano delle valvole che facevano suonare generalmente delle ancie libere e più tardi, come nel piano melodico costruito dai Racca di Bologna, dei martelletti che battevano su corde. I libri di cartone e i rulli di carta, rispetto ai cilindri chiodati ed anche rispetto ai dischi, avevano il vantaggio di poter riprodurre una sonata praticamente illimitata nella durata. L'ultimo inconveniente da eliminare era che la carta fosse a diretto contatto con delle leve: la carta doveva solo « leggere» la musica. A ciò arrivò per prima la Welte Company di Freiburg (Germania) che brevettò un pianoforte ad azione pneumatica con rullo di carta perforata che costituì il primo pianoforte automatico in grado di soddisfare le esigenze più raffinate. Sul Welte la carta non muoveva leve o valvole, ma scorreva su un lettore, che era una griglia con dei fori, ciascuno dei quali corrispondeva ad una nota. Quando un foro della carta si trovava su quello corrispondente della griglia avveniva una fuoriuscita d'aria; questa fuoriuscita creava una depressione all'interno di un manticino che afflosciandosi permetteva se ne gonfiasse un altro, solidale con il martelletto del pianoforte o con una leva che muoveva un tasto. Questo meccanismo, in tutte le sue successive varianti e perfezionamenti, avrebbe trionfato su ogni altro e sarebbe stato applicato per la sua essenziale semplicità tecnica anche a grandi organi comprendenti decine di strumenti. Come nei moderni calcolatori un rullo di carta sarebbe stato sufficiente a riportare il programma di vere e proprie orchestre automatiche. Dopo quasi un secolo di tentativi con il meccanismo pneumatico il piano automatico vide la sua fioritura. Se ne costruirono negli Stati Uniti, con pianisti automatici o con il meccanismo incorporato, in Inghilterra e, naturalmente, in Germania, da cui molte industrie si trapiantarono negli USA. Vennero costruiti piani misti con corde e canne da organo, con bande intere ed infine fu incorporato anche quello che sembrava lo strumento più refrattario all'automazione : il violino. Va notato, per inciso, che i due metodi di « notazione» ebbero una loro tendenza che potremmo definire nazionale e che corrisponde non solo a due tecniche distinte, ma anche e soprattutto a due atteggiamento culturali. Francesi ed italiani preferirono usare per i loro strumenti il cartone ripiegato (se non addirittura i cilindri chiodati), mentre tedeschi e americani, una volta trovato il metodo della carta forata e della azione pneumatica non la abbandonarono più. Ma, mentre tedeschi ed americani insistevano sul fatto che la riproduzione musicale pneumatica eliminava le differenze tra la macchina e l'uomo e rendeva praticamente l'uomo inessenziale, gli italiani ed i francesi non confusero mai la musica eseguita con quella suonata dai loro strumenti automatici. Essi pensarono che compito della musica meccanica non era imitare gli esecutori, ma creare qualche cosa di più fantasioso e ricco, che fosse vivo a modo suo, che avesse le caratteristiche del divertimento e del sorriso. In Italia ed in Francia « organetti», organi di barberia e grandi strumenti da fiera mantennero quindi sempre una loro autonomia rispetto alla musica tradizionale e, a differenza di quanto avvenne nei paesi di cultura germanica, si preferì destinarli alle strade ed alle piazze che non agli ambienti chiusi. Mentre l'autopiano arrivava al massimo della perfezione con il reproducing piano (cioè quello che rendeva anche l'espressione) si profilava all'orizzonte un nuovo modo di riprodurre la musica che avrebbe, prima o poi messo in crisi tutti gli automatismi conosciuti: la musica poteva essere riprodotta in modo poco costoso in via, per così dire, sintetica, attraverso la conservazione del suono. L'invenzione del grammofono viene generalmente attribuita ad Edison e parve, a tutta prima, destinato al solo impiego industriale e commerciale, come riproduttore della voce umana. Ma i perfezionamenti apportati all'originario strumento con il cilindro di stagnola in America ed in Europa dimostrarono che su cilindri di cera e poi di lacca speciale (con la quale si sarebbero costruiti i dischi dei nostri nonni) si potevano riprodurre i suoni di tutti gli strumenti. Il principio era semplice: una puntina sollecitata dalle vibrazioni prodotte dai suoni incideva una superficie in modo che questa fosse poi in grado di riprodurre attraverso la puntina le stesse vibrazioni. Sarebbero passati tuttavia dei decenni di pazienti sforzi prima che si arrivasse ad essere in grado di produrre un negativo capace di riprodurre, come nella stampa, questi solchi su dischi e di potere quindi avere dischi in quantità industriale ed a basso costo. Per alcuni decenni così, i piani a cilindro continuarono a percorrere le strade dei paesi e delle città portando l'allegria delle loro ingenue canzonette a coloro che si volevano divertire un po'. In Italia fino al 1938 si può dire che quasi ogni osteria aveva il suo piano a cilindro con il motore a molla, la manovella per la carica e la fessura per i 10 centesimi. La domenica i giovani danzavano così le vecchie polche o i valzer. Anche gli autopiani, giunti con l' Hupfeld ed il Welte Mignon al massimo della perfezione ( come avevamo detto riuscivano a rendere l'espressione e la dinamica di chi aveva suonato per incidere il rullo di carta) continuarono ad essere costruiti per le persone più esigenti, che non si accontentavano dei miagolii dei grammofoni e della natura sintetica dei suoni che i dischi producevano. Agli autopiani i grandi maestri del pianismo diedero tutta la loro attenzione ed ai rulli di carta affidarono le loro prestigiose interpretazioni. Annoveriamo tra questi Scriabin, Busoni, Grieg, Paderewski. Come già Mozart ai suoi tempi, neppure questi immortali interpreti disdegnarono la macchina. (Recentemente la casa discografica Telefunken ha dedicato alcuni microsolco a queste interpretazioni fatte per l'autopiano Welte Mignon ). Ma se con organi, organetti da tavolo, da armadio, da strada, con autopiani, piani a cilindro, carillon, orchestrion, organi da fiera ecc. la musica era entrata nelle case, nei ristoranti, negli alberghi, nelle osterie di campagna e sulle strade, restava tuttavia ancora qualche cosa da fare ed era il trasmettere da un punto qualunque la musica, diciamo pure nel suo elemento irripetibile. Una memorabile esecuzione di un pianista non può essere ripetuta tale e quale in un altro concerto. Il telefono pareva offrire una qualche possibilità e già in Germania e negli Stati Uniti si parlava di trasmettere la musica per filo quando, nel 1906, apparve su di un giornale americano una notizia sensazionale: « Il dottor Cahill ha inventato uno strumento musicale perfetto ». Si trattava di un organo costruito con dodici generatori di correnti multiple, generatrici di onde, sonore, che l'organista metteva assieme e selezionava attraverso una serie di interruttori, relè e reostati. Il primo concerto ebbe luogo nella villa del re dei freni ad aria compressa Westinghouse che era interessato, come altri uomini d'affari, agli sviluppi di questo tipo di strumenti. Questo strumento dall'aspetto mostruoso pesava duecento tonnellate ed aveva le dimensioni di una fabbrica di media grandezza: esso presentava quindi un problema fondamentale, quello del trasporto. Il problema doveva essere risolto trasportando non lo strumento, bensì la musica attraverso i cavi telefonici; così essa avrebbe raggiunto un numero di utenti incredibile; molto più di quanti ne contenesse la più grande sala da concerto. L'esperimento telefonico fu tentato, ma ebbe poca fortuna perché non era ancora stato inventato l'altoparlante magneto dinamico e perché gli utenti delle società telefoniche si lamentavano in continuazione delle cadute di tensione lungo le linee e dei conseguenti disturbi. L'invenzione del dottor Cahill (il quale inventò tra l'altro anche la macchina da scrivere elettrica e varie al tre cose) conteneva in sé due germi fondamentali di grande avvenire: da una parte la possibilità di produrre i suoni con l'elettricità suoni totalmente nuovi con armoniche artificiali a piacere dell' operatore - dall'altra la configurazione del problema dell'irradiazione della musica da un centro per farla giungere al pubblico - ormai divenuto classe economica di utenti - in modo facile ed economico. Questo sogno sarebbe stato realizzato alcuni decenni più tardi con l'invenzione della radio, il dono più rappresentativo e - secondo alcuni «sciocchi signorini del pensiero» - più pericoloso dei tempi nostri. Oggi ci sembra un fatto naturale poter scegliere un concerto dato da una grande orchestra sinfonica, da un grande pianista, oppure girare una semplice manopola per cambiare programma ed ascoltare il cantante preferito; il tutto per una spesa che al primo momento si può definire trascurabile grazie all'enorme numero di persone che godono di questo servizio. Ma quali sono le conseguenze di tutto ciò? La prima ci sembra l'assuefazione ad un nuovo modo di godere dell'arte dei suoni. La musica per filo ed onde elettromagnetiche è sintetica e se questo fatto ci ha portato indubbiamente ad ampliare la nostra sensibilità verso i suoni sintetici (prodotti per via elettronica) ci ha anche portato al punto che un suono naturale (senza almeno l'amplificazione elettronica) ci sembra innaturale e fuori dal nostro mondo quotidiano. La seconda è che la vecchia macchina - automatica o manuale - per fare musica è caduta al rango di curiosità mentre quella nuova elettronica è, per il gran pubblico, egualmente avvolta nel mistero. Un'osservazione ci viene allora spontanea: il mondo musicale si è spezzato in due tronconi perché mentre da una parte esiste la novità astratta, sconosciuta ai più nei suoi elementi costitutivi, dall'altra sussiste un vecchio mondo incapace di saldarsi al nuovo ed adatto a soddisfare solo i ricercatori di ghiottonerie culturali. Lo scopo della nostra ricerca storica, di restauro e di riunione di questi elementi materiali che sono somme di ricerche e di lavoro, in un museo, è un contributo per rinsaldare questi estremi in sè egualmente sterili. La storia, anche quella della musica, è una serie di sbalzi solo nella fantasia degli artisti di poco talento o dei mercanti di musica che in luogo della musica vendono una politica musicale e le proprie idee.