martedì 28 aprile 2009

File Under Culture&Art 1.0.3


"Il meno che si possa chiedere ad una scultura è che stia ferma." Salvador Dalí (1904-1989), pittore spagnolo.

Un'altra teoria suggerisce che noi rispondiamo non a ciò che le cose sono intrinsecamente ma al modo in cui si differenziano da altre cose simili che abbiamo visto. Non siamo dunque semplicemente impegnati nel semplice atto di guardare qualcosa ma nell'atto più complesso di guardare qualcosa in relazione alle aspettative a suo tempo sollevate da altre cose simili.
Piano, adagio, perché è facile andare alla deriva e allontanarsi dall'argomento: cosa ci succede quando ci lasciamo catturare da un frammento di cultura (quando guardiamo un quadro, ci facciamo taglia­re i capelli, andiamo al cinema)?
Cosa succede quando vediamo un film? Guardiamo un mondo che si costruisce davanti a noi e come alcune persone all'interno di quel mondo interagiscono tra loro e il mondo in cui si trova­no. Cosa fanno? Osserviamo la collisione di sistemi di valori impliciti all'interno di un ambiente proposto. Questo si chiama “dramma”, quando vediamo che il sistema di valori è destinato a crol­lare in modo disastroso, lo chiamiamo "tragedia" e quando crolla in modo comico, lo chiamiamo "commedia". Per millenni, narrativa e teatro (e ora film e TV) si sono occupati di questo: proporre e descrivere un mon­do e le dinamiche delle interazioni cariche di valore al suo interno. E’ interessante notare come non sia necessario che il mondo proposto o il sistema di valori coinvolti nella collisione siano "realistici" perché scatti il nostro interesse, proprio come non è necessario che una partita a scacchi rappresenti un reale conflitto militare.
Ci interessa il processo dell'interazione fra gli elementi proposti. Ci interessa il modo in cui noi, cogliamo questi processi. Vogliamo conoscere le regole e mettere alla prova le nostre capacità di estrapolarle.
E che dire dei tagli di capelli? Farsi una nuova acconciatura è porsi la domanda: "Come sarebbe essere il genere di persona che ha questo ta­glio di capelli?". E che utilità ha? Beh, non è questo che ci rende diversi da altri animali?
Non è il fatto di avere tutta questa serie di pratiche culturali di come le cose potrebbero essere altrimenti, di come le cose potrebbero sembrare viste attraverso gli occhi di qualcun altro, che ci mette in grado di comprenderci a vicenda e collaborare con gli altri?
Cerco di spiegarmi meglio … di solito si pensa che la cultura umana incominci con il linguaggio, che questo sia il gran punto di differenziazione, ma sono dell’opinione che si incominci con l'empatia, andando oltre il linguaggio stesso. Ciò che ci connette gli uni agli altri non è solo la nostra capa­cità di parlare tra noi: quello è solo uno dei prodotti (un gran prodotto) della nostra capacità di immaginare come possono sembrare le cose viste con gli occhi di un altro. I
n realtà noi centinaia di volte al giorno abitiamo altre intenti, altri mondi, altri insiemi di assunti, se non lo facessimo, non sa­remo in grado di funzionare nella società.
Tutta la comunicazione di­pende dall'affinamento di un insieme già vasto di assunti in frasi o gesti selezionati e le persone abituate ad abitare i mondi mentali altrui lo fanno con incredibile economia: la striz­zatina d'occhio che vale mille parole, per esempio, o il leggero mutamen­to del tono di voce che rappresenta un intero paragrafo. Il linguaggio è la lama tagliente di questo processo ma non è che una porta che conduce nella vasta riserva di esperienza di altri mondi e altre visioni che tutti portiamo con noi.
Io penso che quando entriamo in atti culturali, convenzionali o co­munque vogliate chiamarli, mettiamo alla prova questa capacità di sal­tare da un insieme di assunti a un altro, da una prospettiva all'altra e aggiungo anche che in questo percorso diventiamo sempre più abili.

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