martedì 6 ottobre 2009

Intervista di Gisbert Watty con Empedocle70 parte prima

La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra?

In modo molto naturale. Mio padre era un musicologo, insegnante di musica nelle Scuole Statali e faceva anche il critico musicale per un quotidiano. Mia madre ha sempre cantata in un coro. I miei due fratelli maggiori hanno cominciato a studiare il pianoforte da piccoli, mio fratello Siegmund ancora oggi fa il pianista. La musica è sempre stata presente nella mia famiglia. Ho cominciato a suonare il flauto dolce e poco dopo anche il pianoforte all’età di sei anni, ma poi ho smesso verso i nove anni. Non so bene il perché, mi piaceva, ma non ero appassionato.

L’inizio con la chitarra è una storia buffa: avevo 11 anni quando i miei genitori mi hanno comunicato che le lezioni di chitarra sarebbero iniziate il mese successivo. Io ero veramente sorpreso e ho chiesto perché. “Ma se l’avevi chiesto tu!” mi hanno risposto. Insomma, io non mi ricordavo niente e non ci stavo proprio più pensando, ma un anno prima avevo dichiarato di voler suonare la chitarra. I miei genitori mi hanno iscritto alla Scuola di Musica Comunale, però in quel momento c’era il numero chiuso e sono finito sulla lista d’attesa. Comunque, sono andato alle lezioni ed è subito nato un grande amore.

Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo e quali sono le correnti stilistiche nella quale lei si riconosce maggiormente?

Non ho mai fatto alcuna distinzione fra musica “classica” e “contemporanea”. I compositori preferiti di mio padre erano Monteverdi e Henze e nella sua collezione di dischi era possibile ascoltare ogni tipo di musica, anche tutte le più importanti composizioni del novecento fino alla musica dell’avanguardia. La prima volta che ho cercato in casa se c’erano anche dei dischi di chitarra ho trovato due Lp, uno di Leo Brouwer che suonava Sanz, Sor, Brouwer, Henze e Cardew e l’altro era la famosa incisione di Julian Bream con Britten, Martin, Henze e Smith-Brindle. La scoperta del repertorio classico è venuta dopo.

Più delle “correnti stilistiche” mi interessano le personalità di ogni singolo compositore. Insomma, mi piacciono molte composizioni di Steve Reich, ma Philip Glass lo trovo abbastanza noioso. Le mie simpatie e curiosità spaziano un po’ dappertutto, in quasi tutti i generi. Il bello del nostro mestiere sta proprio nel confrontarsi continuamente con un brano nuovo, con quello che riesce a dare a me ed agli altri. Certo, non mi trovo in grande sintonia con la maggior parte dell’ambiente chitarristico e le loro scelte di repertorio. Preferisco composizioni con un certo grado di complessità e questo può spiegare forse anche la mia predilezione per la musica da camera.


3. Come è nata la sua lunga collaborazione con il flautista Luciano Tristaino con il vostro duo e poi con il trio altrove 1.3 con Marcello Bonacchelli al clarinetto?

Ho conosciuto Luciano nel 1991 alla Scuola di Musica di Fiesole, subito dopo il mio Diploma. E’ nata un’amicizia e facciamo concerti insieme dal 1992. Negli anni seguenti abbiamo studiato e suonato tutti i migliori pezzi per flauto e chitarra per poi arrivare a scontrarci con il solito problema: la mancanza di un ampio repertorio classico/romantico veramente importante. Le composizioni per flauto e chitarra sono innumerevoli, ma quelle di valore, purtroppo, sono davvero poche. Questa situazione ci ha avvicinato alla collaborazione con vari autori contemporanei per allargare e creare un nuovo repertorio, ma a quel punto abbiamo cercato anche di sviluppare nuovi progetti allargando il nostro duo ad altri strumenti. Per un po’ abbiamo sperimentato andando avanti con varie formazioni, ma senza mai creare qualcosa di stabile. Nel 2001, invece, abbiamo partecipato ad un concerto di musica contemporanea con alcuni brani per flauto e chitarra insieme ad una prima esecuzione assoluta di un trio per flauto, clarinetto e chitarra. Ci è piaciuto talmente tanto suonare e lavorare insieme a Marcello che l’anno dopo è nato il “trio altrove 1.3”. Trovo ancora oggi che questa formazione sia bellissima. Il flauto con la chitarra lo conoscono tutti, ma l’espressività e la grande varietà dinamica di un clarinetto si fonde benissimo con il timbro del nostro strumento.

continua domani..

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