giovedì 22 ottobre 2009

Intervista a Gigi Masin (Laverna) di Empedocle70 terza parte



Quale significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Ho letto una recensione in cui giustamente veniva indicato Mozart come punto di riferimento per un moderno improvvisatore. Se ci pensi un attimo può sembrare un paradosso solo a chi non ama Mozart. L’improvvisazione è tutto, da secoli… è la minestra con cui hanno mangiato miliardi di musici, cantori, poeti, narratori, artisti. C’è chi ti dice che è un’uscita momentanea dagli schemi, un’invenzione, un’ispirazione, un colpo di genio in un pomeriggio di pioggia. Per me è una scintilla che ha illuminato e che talvolta illumina ancora la meraviglia del creato. Non vedo barriere, la musica è musica, espressione dell’intelletto che può o meno piacere. Ai miei occhi i griot dell’Africa occidentale non sono dissimili dalla meraviglia del maqam della tradizione araba, ma la questione è poi che i menestrelli medievali, gli sciamani, i cantori della pioggia, appartengono tutti alla stessa stirpe di artisti illuminati e vagabondi. Tutti senza uno straccio di partitura, non una nota scritta. La tristezza è sentir parlare di improvvisazione come parente povera della musica scritta, una parente a cui si perdona l’ardire di una scappatella o un errore di grammatica. Mondo misero il nostro che ha bisogno di barriere e frontiere pure nella mente.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

No, se il sentimento che ti muove è quello della conoscenza. E la scuola però insegna che la conoscenza non è coscienza. Ascoltare, leggere, cercare. Alla fine diventa un percorso soggettivo, ma raramente diventa un sentire più condiviso. Se la musica è ‘merce’ vuol dire che muove interessi e ricchezze in gran numero, perché la musica è un valore universale che entra nella vita di tutti, ad ogni latitudine. Diventa ‘coscienza’ dove si intreccia con la vita sociale, con le rivoluzioni o le lotte di un popolo, dove diventa canto di libertà, dove diventa bandiera. La studiamo e ce la fanno conoscere (la musica, intendo) come aspetto estetico, come un ‘fuori’ da noi, mentre invece è un moto interiore, è sensazione e sentimento e speranza. Se vai ad un concerto con l’aspettativa di benessere (o divertimento, il che è uguale) un motivo profondo ci sarà. Trovarlo, a volte, è il percorso di una vita.

La tua musica trasmette una certa sensazione di minimalismo, sei legato a questa corrente musicale? Ne sei stato influenzato e quali sono le tue influenze musicali?
Nasco, musicalmente, come chitarrista. La musica di John Martyn ha cambiato il mio modo di sentire e intendere la musica. Le accordature aperte si sono prese pomeriggi e notti insonni. Ma è l’incontro con Terry Riley, Alvin Curran, La Monte Young chem’ha insegnato ad ascoltare una parte di me che si sentiva chiusa dal ripetere canzoni e canzoni per il piacere degli amici. Minimalismo inteso come microcosmo di suoni e sensazioni, certo che sì, mi appartiene e mi ritrovo a casa. Ma è un continuo, un variare continuo, che è l’idea emozionante che mi aiuta e mi spinge a suonare. E’ un sentimento che inizia ma non sa dove andrà a finire….


ti propongo un gioco: ti faccio alcuni nomi, che penso siano legati alle tue idee musicali, e tu mi dice se ci ho azzeccato e che cosa significano o hanno significato per te? Incomincio: John Fahey - I Raga indiani - Italo Calvino - Brian Eno - Global Communication - Steve Reich

Italo Calvino su tutti, senza ombra di dubbio, senza togliere nulla a nessuno. Anni fa avrei detto Steve Reich senza fiatare perché intuivo, ma non avevo pienamente compreso, il nesso intenso che lega l’arte in generale con la storia umana. Ti piace un musicista, ti piace un quadro, ti piace un libro ma tessere la tela che li lega al mondo non è impresa facile, né veloce. Magari fortunata se hai modo di superare quei gradini che ti separano dalla bellezza dell’assoluto. Che è in noi, intendo. E noi siamo meravigliosamente sciocchi. Ma per restare al gioco io metto sul tavolo le mie carte, senza le quali sarei aria fritta: tutta la discografica di John Martyn e quella di Abdullah Ibrahim (e Dollar Brand di conseguenza), il ‘Gattopardo’ di Tomasi di Lampedusa, i ‘Canti Pisani’ di Ezra Pound, il ‘Caino’ di Byron, tutto Mirò, la tromba di Kenny Wheeler, il pianoforte di Paul Bley, tutto Alvin Curran, Ligeti, Penderecky, Zelenka, il medioevo, poi ‘Apocalypse Now’ e ‘Orlando’ al cinema…..


continua domani

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