Caro Gigi .. allora da quanto tempo sei nella musica e perché? Qual è il tuo background?
Senza la musica sarei un palo della luce, ma il vero amore è la radio. Da adolescente (sono nato nel 1955, a Venezia) passavo le notti ad ascoltare Radio Lussemburgo e seguivo ogni trasmissione di musica dell’epoca. Il sogno realizzato è stato diventare un dj ‘notturno’, trasmettere la musica che amavo nel modo e nel sentire più profondo. La chitarra è stata una forma di espressione, ho iniziato presto a scrivere canzoni, ad esplorare le accordature aperte, il blues, il folk. Era comunque molto frustrante, perché io mi divertivo molto, riempivo cassette su cassette, ma non interessava molto alle persone attorno a me. Poi l’incontro con il teatro, nella metà degli anni ’70 ed i miei primi esperimenti con la musica elettronica, i nastri pre-registrati, il suonare giradischi e mixer come fossero veri e propri strumenti. A metà degli anni ’80 mi sono regalato un piccolo sintetizzatore, con il quale ho realizzato il mio primo disco.
Credo che tu sia stato uno dei primi dj italiani a interessarti di ambient .. come è nata questa passione?
L’incontro, in teatro, con la musica di Ligeti e di Penderecki mi ha segnato profondamente. Il passo successivo è stato quello di proporre come dj radiofonico, di notte, quelle musiche che al mio sentire ricordavano quel senso di mistero e meraviglia. Ed è stato proprio in quel periodo, all’inizio degli anni ’80 che si è cominciato a parlare di ambient music associando peraltro forme di espressione assai diverse tra loro. Avanzare l’idea però, come ho letto recentemente da un autorevole giornalista, che il suono del mare è la migliore forma di ambient music possibile sia assolutamente ridicolo.
Come è nata la collaborazione con la net label Laverna?
L’amicizia con Mirco Salvatori, la sua testardaggine, mi hanno spinto a realizzare dei brani che sono stati pubblicati da Laverna con il titolo di ‘The Last DJ’ nella primavera del 2008. In realtà è stata per me una nuova primavera, dopo un lungo periodo di silenzio e disillusione. Il gruppo della Laverna è in realtà un magnifico convivio di persone d’arte e pare pure un’isola in mezzo al mare. Per ora è una vacanza meritata, poi dirà il futuro.
Come sono i rapporti tra chi fa Dj e la SIAE? Nelle tue produzioni con la Laverna hai optato per il modello di licenza Creative Commons, ce ne vuoi parlare?
Il tema del diritto d’autore mi pare che vada e venga come uno jo-jo ma in realtà non avviene la rivoluzione ed i campi avversi rimangono a guardarsi in cagnesco senza mordere. A metà degli anni ’70 avevo tentato di costruire un’associazione che favorisse una diversa sensibilità e qualche nuova possibilità (si chiamava E.M.A., Edizioni Musicali Autogestite) per chi suonava dal vivo o per la musica trasmessa dalle radio libere del periodo. Le Creative Commons rappresentano una maniera libera di affermare il proprio esistere d’autore, sebbene non risolvano in toto il problema economico dell’essere autore, o dell’essere pienamente protetto e tutelato. Non si tratta, a mio avviso, di essere pro o contro l’idea che sta alla base di un colosso come la SIAE, è che non capisco e non condivido il perché di una forzata centralità, di un’unicità di tale rapporto.
Senza la musica sarei un palo della luce, ma il vero amore è la radio. Da adolescente (sono nato nel 1955, a Venezia) passavo le notti ad ascoltare Radio Lussemburgo e seguivo ogni trasmissione di musica dell’epoca. Il sogno realizzato è stato diventare un dj ‘notturno’, trasmettere la musica che amavo nel modo e nel sentire più profondo. La chitarra è stata una forma di espressione, ho iniziato presto a scrivere canzoni, ad esplorare le accordature aperte, il blues, il folk. Era comunque molto frustrante, perché io mi divertivo molto, riempivo cassette su cassette, ma non interessava molto alle persone attorno a me. Poi l’incontro con il teatro, nella metà degli anni ’70 ed i miei primi esperimenti con la musica elettronica, i nastri pre-registrati, il suonare giradischi e mixer come fossero veri e propri strumenti. A metà degli anni ’80 mi sono regalato un piccolo sintetizzatore, con il quale ho realizzato il mio primo disco.
Credo che tu sia stato uno dei primi dj italiani a interessarti di ambient .. come è nata questa passione?
L’incontro, in teatro, con la musica di Ligeti e di Penderecki mi ha segnato profondamente. Il passo successivo è stato quello di proporre come dj radiofonico, di notte, quelle musiche che al mio sentire ricordavano quel senso di mistero e meraviglia. Ed è stato proprio in quel periodo, all’inizio degli anni ’80 che si è cominciato a parlare di ambient music associando peraltro forme di espressione assai diverse tra loro. Avanzare l’idea però, come ho letto recentemente da un autorevole giornalista, che il suono del mare è la migliore forma di ambient music possibile sia assolutamente ridicolo.
Come è nata la collaborazione con la net label Laverna?
L’amicizia con Mirco Salvatori, la sua testardaggine, mi hanno spinto a realizzare dei brani che sono stati pubblicati da Laverna con il titolo di ‘The Last DJ’ nella primavera del 2008. In realtà è stata per me una nuova primavera, dopo un lungo periodo di silenzio e disillusione. Il gruppo della Laverna è in realtà un magnifico convivio di persone d’arte e pare pure un’isola in mezzo al mare. Per ora è una vacanza meritata, poi dirà il futuro.
Come sono i rapporti tra chi fa Dj e la SIAE? Nelle tue produzioni con la Laverna hai optato per il modello di licenza Creative Commons, ce ne vuoi parlare?
Il tema del diritto d’autore mi pare che vada e venga come uno jo-jo ma in realtà non avviene la rivoluzione ed i campi avversi rimangono a guardarsi in cagnesco senza mordere. A metà degli anni ’70 avevo tentato di costruire un’associazione che favorisse una diversa sensibilità e qualche nuova possibilità (si chiamava E.M.A., Edizioni Musicali Autogestite) per chi suonava dal vivo o per la musica trasmessa dalle radio libere del periodo. Le Creative Commons rappresentano una maniera libera di affermare il proprio esistere d’autore, sebbene non risolvano in toto il problema economico dell’essere autore, o dell’essere pienamente protetto e tutelato. Non si tratta, a mio avviso, di essere pro o contro l’idea che sta alla base di un colosso come la SIAE, è che non capisco e non condivido il perché di una forzata centralità, di un’unicità di tale rapporto.
continua domani...
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