mercoledì 19 novembre 2008

Da 'Quasi come', di G.Almansi e G.Fink: ancora sul tema della parodia...

Riportiamo due passi tratti da un libro che può a giusto titolo essere considerato un classico sull’argomento
http://www.mieilibri.it/Saggi-sulla-letteratura/Quasi-come_617.html
Si tratta di una parte dell’introduzione e di una pagina della sezione dell’opera dedicata al tema del ‘falso sperimentale’. Chi ha avuto la pazienza di leggere gli articoli del sottoscritto e dell’amico Fausto Bottai, sparsi qua e là sul blog, sa che abbiamo entrambi parlato e riparlato della tendenza, così peculiare nella produzione artistica del ‘900, alla ‘citazione’. Si tratta anzi senz’altro di una delle (se non la) modalità di maggior successo e di più largo impiego da parte degli tanti artisti contemporanei. Naturale quindi rintracciare svolgimenti paralleli di questo stesso tema nelle opere storico-critiche e teoriche di quanti hanno dedicato le loro riflessioni all’arte del ‘900, in questa o quella disciplina. Quasi come, libro dedicato specificamente, come dichiarano gli autori, alla letteratura come parodia e alla parodia come letteratura è appunto una di queste opere, a cui è sempre utile ogni tanto, per rinfrescarsi la memoria, tornare. E ribadire che se ‘i testi sono sistemazioni provvisorie, tende da nomadi che si spostano da un luogo all’altro del deserto’ i falsari sono i beduini che assicurano la circolazione delle idee e assicurano alle opere (finite?) una metempsicotica vita, evitando loro di ammuffire in polverosi scaffali di biblioteca...

Fauvel

E’ possibile, anche se non probabile, che la scrittura sia cosa da non prendere sul serio. Come dice Lewis Carroll, noi non diciamo quello che vogliamo dire e non vogliamo dire quello che diciamo. Se già la distanza fra il dire e il pensare è invalicabile, lo è ancor più quella fra scrivere e pensare, che assomma alla discordanza fra emozione ed espressione quella altrettanto radicale fra parola e grafia. Scrivere è un fingersi diversi da ciò che si è, uno scrivere fra virgolette, in citazione, sulle spalle o a spese della tradizione, con invisibile tongue-in-cheek dove la scrittura si vuole seria, con visibile ammicco dove la si vuole scherzosa. E’ chiaro che il mondo è puramente parodico, ossia che ogni cosa che si guarda è la parodia di un’altra, oppure la stessa cosa in forma deludente, scriveva Bataille. Noi pensiamo che, in fondo, si siano da sempre scritti addosso, sbizzarrendosi in reciproci tatuaggi, o maquillages perversi, tesi a falsare sistematicamente testi presenti e passati per far loro dire cose che essi non sognavano neppure.
(….) La scrittura così non è tanto ‘dire’ qualcosa (infatti non c’è mai niente di nuovo da dire), quanto ‘far dire’ agli altri altre cose, rendere Virgilio cristiano o Dante risorgimentale o Shakespeare vittorughiano e così via. Se tutto è parodia il nostro libro ha un senso; se parodia è solo ciò che si definisce normalmente come tale, il nostro libro ha un altro senso, in quanto lungo il percorso abbiamo ripescato con al nostra rete a strascico un po’ di tutto; e anche naturalmente, un buon numero di parodie vere e proprie, legittimamente consacrate dalla tassonomia della letterature e dalla definizione vocabolariesca. In altre parole, abbiamo cercato di far fare un periplo stravagante nel mare delle lettere, issando a bordo tutto quello che ci sembrava suscettibile di essere qualificato come falso, o come parodistico: purché fosse dilettevole. Il diletto a volte era intenzionale nella mente dell’autore; in altre occasioni abbiamo invitato il lettore ad una lettura rovesciata, con il cannocchiale all’incontrario, per scoprire bellezze australi là dove l’autore intendeva farne risaltare di boreali (scegliendo quindi testi che risultano illeggibili se considerati seri, leggibilissimi e godibilissimi se posti di fronte allo specchio deformante della parodia). Abbiamo sempre seguito un criterio di sconsiderata libertà nel manipolare i testi: abbiamo agito come se l’autore volesse.. quasi come intendesse… per scrivere un libro sulla letteratura come parodia e sulla parodia come letteratura, abbiamo dovuto qualificarci come parodisti. Per scrivere un libro sulla letteratura come falso, abbiamo dovuto farci falsari…

(....)

Il falso sperimentale è un’operazione culturalmente e ideologicamente autonoma che si avvale di aprole, modi, espressioni altrui come semplice spunto, raccolta di materiali e objets trouvés; o che sfrutta vene culturali garantire dalla nobiltà originaria per fini estranei e per esperimenti ludici e/o ideologici. Leggi oppressive e restrittive, a partire dal nefasto Copyright Act del 1709, hanno invano cercato di ingabbiare la creatività umana e la capacità che possiedono gli artisti di re-inventare le cose altrui. Ma nessun decalogo può impedire che si desiderino le parole altrui, spesso per deturparle o per stuprarle; nessuna istituzione civica o patto sociale può far sì che le creazioni artistiche rimangano statiche e deperibili, solo proprietà immodificabile di chi ha dato loro una prima e sempre provvisoria sistemazione: nuove sistemazioni e sorprese attendono l’opera originale nelle mani dello sperimental falsario.
Come ha detto Marx, un prodotto finito può legittimamente diventare materia di un nuovo prodotto. E quale prodotto, in questo campo, può dirsi finito? La Gioconda di Leonardo? Una delle tante Gioconde nude del tardo Rinascimento? O quelle baffute e istoriate di Duchamp e di Salvador Dalì? L’arte è un flusso continuo di mode e di scherzi, di convenzioni e di parodie, di atti di fede e di gesti di ludibrio. Il falso garantisce la dolce corrente di questo flusso. Quanto al falso squisitamente sperimentale, ebbene, eliminarlo significherebbe uccidere tutte le possibilità e le potenzialità della letteratura, sminuirne la natura che è, sempre, anche quando sbandiera una suoa originalità e una sua forma di rottura con la tradizione, un’operazione nobilmente parassitaria.
Vari sono i modi di questo falso: tradurre, copiare, modificare, citare fuori contesto, sostituire parole, giocare col linguaggio, inventare testi inesistenti e distruggere quelli che già esistono, cambiare i connotati, volgere il tragico in comico e viceversa, inventare lingue nuove e magari impossibili, mistradurre, miscitare, travolgere la grammatica, la sintassi, la logica, e sempre il decoro.
La letteratura le ha provate tutte…

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