lunedì 30 marzo 2009

Tango: Tango y Borges di Empedocle70

Individuare le origini del Tango è impresa ardua e improbabile: troppo labili le tracce lasciate dai protagonisti, troppo numerosi i vincitori saliti sul carro a rivendicarne la paternità, troppo forte la visione cinematografica sentimentale secondo cui il tango sarebbe nato nelle periferie malfamate, in particolare alla Boca del Ria­chuelo, per i meriti fotografici del posto. Una verità indiscussa, assiomatica da romanzo di appendice dove il povero e umile tango, inizialmente messo al bando dai salotti buoni della borghesia di Buenos Aires, ne verrebbe finalmente adotto solo dopo il 1910 buon esempio di Parigi, che si sa, fa sempre tendenza, moda e buone maniere.

Evaristo Carriego lo ha scritto nelle sue Messe eretiche:

Per la strada, la brava gente fa spreco di parole cenciose e lusinghiere, perché al ritmo di un tango, La morocba, fanno mostra di gran ballo due orilleros.

In un'altra pagina di Carriego viene descritta, con profusione di tristi dettagli, una misera festa di ma­trimonio; il fratello dello sposo è in carcere, ci sono due giovanotti attaccabrighe che il guappo deve calmare con minacce, ci sono diffidenza e rancore e rozzez­za, ma ...

Lo zio della sposa, che si crede obbligato a controllare se il ballo prende una buona piega, avverte, quasi offeso, che non si ammettono tanghi, neanche per scherzo...

Ché, modestia a parte, non gliela dà a bere nessuno di quei furbi... certamente. La casa sarà povera, è chiaro, tutto quel che volete, ma onorata.

Quest'uomo effimero e severo che i versi ci lascia­no intravedere esprime molto bene la prima reazione del popolo di fronte al tango, «quel rettile da lupana­re», come lo avrebbe definito Lugones con sdegnosa laconicità (Elpayador, pagina 117). Ci mise molti anni il Barrio Norte a imporre il tango ‑ ormai reso deco­roso da Parigi, bisogna dirlo ‑ alle classi popolari, e non so se ci sia riuscito del tutto. Una volta era un'orgia­stica diavoleria, oggi è un modo di camminare.

Anche Borges non ha saputo trattenersi dallo svolgere delle ricerche su questo “interessante prodot­to suburbano” andando a parlare con José Saborido, autore di Felicia e di La morocha; con Ernesto Poncio', autore di Don Juan; con i fratelli di Vicente Greco, autore di La viruta e di La Tablada; con Nicolás Paredes, che fu capoccia di Pa­lermo, e con qualche cantastorie di sua conoscenza. Interrogati sull'origine del tango, senza for­mulare domande che suggerissero determinate rispo­ste, ne è emersa una to­pografia e persino una geografia delle informazioni singolarmente diversa dall’edulcorata immagine hollywoodiana. Saborido (che era uruguayano) ha preferito farlo nascere a Montevideo; Poncio (nato nel quartiere di Retiro) ha optato per Buenos Aires e per il suo quartiere; i portegos del Sud della città hanno in­vocato calle Chile, quelli del Nord calle del Temple, strada di meretrici, o calle Junín.
Nonostante tali divergenze gli informatori borgesiani concordano su due punti essenziale: la nascita del tango nei bordelli e la data di nascita, per nessuno era di molto anteriore al­l'Ottanta o posteriore al Novanta. La composizione ori­ginaria delle orchestre ‑ pianoforte, flauto, violino, piú tardi bandoneón ‑ è prova del fatto che il tango non po­teva essere nato nelle orillas, le quali si accontentarono spesso e volentieri delle sei corde della chitar­ra. Non mancano ulteriori conferme: la lascivia del bal­lo, la connotazione evidente di certi titoli, El choclo (La pannoccbia), Elfierrazo (Il coito), il fatto che a Palermo e poi nel­la Chacarita e a Boedo, che lo ballassero agli angoli del­le strade soltanto coppie di uomini, perché le donne del popolo non volevano compromettersi in un ballo da per­sone viziose.
Una cosa da guappi, da “uomini d’onore” in cui la danza lasciava facilmente il posto al gioco dei coltelli. Un’indole rissosa spesso accultata e nascosta dalla sua natura sensuale, per Borges è pur vero che si tratta di due modi o manifestazioni di un medesimo impulso, tant'è che la parola uomo (in latino vir) indica potenza sessuale e potenza bellicosa, e la pa­rola virtus, che in latino vuol dire coraggio.
Nel tempo questa indole si è persa, il coltello è scomparso e la musica e il ballo hanno sublimato l’aggressività in erotismo e arte, la musica è volontà, è passione. Il vecchio tango, in quanto musica suole trasmettere in modo diretto quella bellicosa allegria ancestrale rivelandoci un passato, forse e anche personale che fino a quel momento ignoravamo, e che ci muove a piangere sventure mai subite e colpe che non abbiamo mai commesso.

Empedocle70

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro amico, t'informo che finalmente sul mio blog vengono correttamente visualizzati gli aggiornamenti di Chitarra e dintorni... alleluia!! Anche in bacheca, tutto bene, riesco a seguire i vari aggiornamenti. Utilizzo Firefox come browser e qualche giorno fa ho fatto l'aggiornamento: chissà, forse dipendeva proprio da quello.
Riguardo al contenuto di questo post: so veramente molto poco del tango, anche perché non sono mai stato un ballerino. E' però una danza bellissima, sensuale, e ricca di pathos. E quei pochi pezzi di Astor Piazzolla che conosco sono superbi. Ciao!

Andrea Aguzzi ha detto...

Sei un mito! Grazie Mat! Misteri della magia nera moderna :-D
Eh il Tango ...sempre una bella emozione!