martedì 5 aprile 2011

Intervista a Matteo Rigotti, prima parte


La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra e con quali strumenti suona o ha suonato?

Ho iniziato a suonare la chitarra verso gli otto anni, perché la vedevo in mano a mio padre, che la suonava per divertire gli amici e creare gruppo. Notando la mia curiosità, mi ha insegnato i primi semplici accordi e qualche ritmo con la mano destra. Successivamente i miei genitori mi hanno proposto di prendere lezioni per intraprendere degli studi più approfonditi. Ricordo ancora con grande affetto il mio primo insegnante, Flaviano, oggi mio grande amico. Suono una chitarra del liutaio Luciano Lovadina ed una del liutaio inglese Philip Woodfield.

Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novencento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … si riconosce in queste parole?

Credo che Berio avesse perfettamente ragione. La comprensione e l’interpretazione della musica contemporanea non può prescindere dalla conoscenza approfondita del repertorio classico. In riferimento a questo discorso, mi piace sempre citare un’esperienza che ho vissuto in prima persona in vacanza a Parigi. E’ stato illuminante vedere la sequenza di alcuni disegni di Picasso, in cui studiava la forma di una mucca partendo dalla raffigurazione classica, quasi fotografica, per giungere alla rappresentazione del medesimo soggetto secondo l’evoluzione della sua estetica cubista. Ricordo di aver pensato che questo esempio vale per ogni tipo di arte, dalla pittura, alla musica, alla letteratura, in cui classico e contemporaneo sono un continuum.

Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Personalmente non ho mai avuto un grande rapporto con l’improvvisazione, intesa nel senso più jazzistico del termine. Sicuramente in alcuni strumenti e in certi repertori classici (penso ad esempio al basso continuo sul clavicembalo e all’improvvisazione di fioriture e diminuzione che ne deriva) questa pratica ha un suo spazio. Per quanto riguarda il repertorio chitarristico, io lo vivo più come un linguaggio fortemente codificato che necessità di una continua ricerca di timbro e suono.

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