Sono uno dei fondatori di AlchEmistica, una netlabel dedicata alla classica e alla contemporanea senza fini di lucro, sembra che l’etica del Do It Yourself di memoria punk stia ormai conquistando tutti i settori musicali... è davvero rimasta l’unica possibilità per chi vuole fare musica senza dover pagare dazi assurdi o per promuovere contenuti musicali particolari al di fuori di baracconi commerciali come X Factor?
Per quanto mi riguarda sì! Il DIY è indipendenza, totale autogestione della propria attività di artista. Non è una attitudine legata solo al punk, che negli anni buoni l'ha resa una pratica dilagante: già Sun Ra autoproduceva la musica dell'Arkestra attraverso l'etichetta El Saturn, molto prima cioè di essere avvicinato dalla Impulse (la prima etichetta discografica che ha mostrato interesse per la sua musica), addirittura erano i membri stessi dell'Arkestra a disegnare a mano le copertine dei dischi! Più tardi una marea di etichette di jazz d'avanguardia come la Kharma o la India Navigation Company nascevano e morivano, ed erano ultra indipendenti. Così accadeva pure in Europa e molti di questi dischi oggi introvabili mi hanno profondamente segnato. Anche nella musica contemporanea ci sono esempi di totale autonomia… mi pare che persino la fondazione che controlla il lavoro di Stockhausen produca autonomamente i dischi del noto compositore; le ristampe si possono acquistare quasi esclusivamente attraverso il loro sito. Alcuni musicisti pensano che ci siano tante etichette piene di soldi che fanno contratti e investono ingenti somme di denaro sui dischi e la promozione, ma non funziona così, non per questo tipo di musica. Quante sono le etichette davvero grossine che producono dischi 'difficili' al mondo? E che dischi pubblicano? Bisognerebbe rifletterci.
C'è stato un tempo in cui la musica doveva passare necessariamente attraverso certi supporti fonografici (il nastro magnetico, il vinile) perchè la tecnologia quello offriva. Erano anni in cui c'era grande passione per la musica, i manager non erano persone come Marchionne della Fiat per fare un esempio, ma erano appassionati di musica e rispettavano i musicisti. È da molto che le cose non stanno più così! La tecnologia offre alternative, c'è Internet, la musica si vende poco e la gente non ama più andare ai concerti… In un mondo come questo forse anche Mingus avrebbe prodotto qualche cdr o messo in download un lavoro. Chiunque ami la musica non dovrebbe badare più di tanto al supporto, perchè la musica è immateriale e i suoi supporti sono feticci, per quanto ci piacciano, sono pezzi di plastica che fan vivere i suoni solo quando puntine o laser li toccano… sì è una magia bellissima, ma è appunto la musica l'unica cosa che conta, per quanto bello sia il pakaging e il graphic design che l'accompagna. Credo sia preferibile avere a disposizione un maggior numero di musica interessante che non un minor numero di musica interessante. Il cdr è espressione unicamente del nostro tempo (non di Coltrane! non di Cage! non dei Velvet Undergound!). Scherzosamente, per me CDR è l'acronimo di Creative Discs Revolutionaries.
Parliamo di marketing. Quanto pensate che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?
Dipende molto dall'immagine che uno ha di se stesso, da quello che vuole dal suo lavoro. Non tutti vogliono alloro e Champagne, non ci sarebbero certe musiche altrimenti! Moltissimi musicisti, improvvisatori e compositori, non hanno cura degli aspetti del marketing, altri, come Zorn, sì: i risultati si vedono. Personalmente penso che un musicista, un artista, debba aver grande cura del proprio lavoro, ordinarlo, documentarlo e diffonderlo con onestà attraverso i canali che può controllare egli stesso, per esempio nel Web. È una comunicazione rivolta potenzialmente a tutti, senza distinzioni, senza intermediari. Tutto il resto mi interessa poco, sono totalmente focalizzato sulla musica. Se invece uno rincorre certi miti allora adotterà precisi schemi di marketing: suonare con gente famosa per esempio. Ci sono musicisti che suonano solo con musicisti famosi o di tendenza. All'estero siamo tristemente derisi per questa attitudine: non passa straniero illustre da noi che non si senta una pacca sulla spalla e una voce viscida che gli dice "Hey, ma perchè non registriamo un disco insieme in questi giorni?". Personalmente, amo suonare con qualsiasi genio, sia esso conosciuto o meno (sorrido).
Dipende molto dall'immagine che uno ha di se stesso, da quello che vuole dal suo lavoro. Non tutti vogliono alloro e Champagne, non ci sarebbero certe musiche altrimenti! Moltissimi musicisti, improvvisatori e compositori, non hanno cura degli aspetti del marketing, altri, come Zorn, sì: i risultati si vedono. Personalmente penso che un musicista, un artista, debba aver grande cura del proprio lavoro, ordinarlo, documentarlo e diffonderlo con onestà attraverso i canali che può controllare egli stesso, per esempio nel Web. È una comunicazione rivolta potenzialmente a tutti, senza distinzioni, senza intermediari. Tutto il resto mi interessa poco, sono totalmente focalizzato sulla musica. Se invece uno rincorre certi miti allora adotterà precisi schemi di marketing: suonare con gente famosa per esempio. Ci sono musicisti che suonano solo con musicisti famosi o di tendenza. All'estero siamo tristemente derisi per questa attitudine: non passa straniero illustre da noi che non si senta una pacca sulla spalla e una voce viscida che gli dice "Hey, ma perchè non registriamo un disco insieme in questi giorni?". Personalmente, amo suonare con qualsiasi genio, sia esso conosciuto o meno (sorrido).
continua domani
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