Due i dischi pubblicati da Marco Tabellini con lo pseudonimo di M Tabe per Setola di Maiale. Due dischi di pura improvvisazione per chitarra elettrica, registrati a poca distanza l’uno dall’altro nel corso del 2009, ciascuno l’ideale prosecuzione dell’altro.
I dischi di improvvisazione per strumento solista tradiscono sempre un’indole e un animo molto intimo e con dovuta ragione: cosa c’è di più difficile e allo stesso appagante per un musicista di doversi esibire senza una partitura, senza uno spartito di fronte al suo pubblico o in uno studio di registrazione?
In un certo senso questi dischi rimangono come pure espressioni di un’idea, di uno stile, di una forma musicale cristallizzata e legata al suo tempo di esecuzione. Ora si è così, si suona così, domani, tra un mese, tra un anno cambia tutto: una specie di istantanea, di attimo congelato, di ”Pasto Nudo” con il quale saziare se stessi e il proprio pubblico.
Marco di idee ne ha e le sa mettere a fuoco, lo fa con la nervosa tranquillità di chi sa che questo può fare e nel farlo sa di dover pagare il giusto tributo alle sue influenze musicali che mi sembra emergano in modo chiaro e lineare. Il suo suono saturo, distorto quanto basta ma allo stesso tempo diretto nella sua proiezione rimanda a Jimi Hendrix, il suo partire quasi senza l’attacco a Fred Frith e Derek Bailey a cui Marco sembra collegarsi anche per l’ideale struttura libera delle improvvisazioni e per l’uso nervoso degli stoppati, utilizzati per creare una struttura ritmica sottostante ai feedback chitarristici.
Forse c’è più blues che jazz, più senso della narrazione che strutturalismo musicale, più il desiderio di osare correndo qualche rischio in più che non il piacere di suonare in maniera impeccabile ma senza passione.
Credo di non sbagliare dicendo e pensando che Marco non è uno che gioca a dadi, ma che poggia i piedi su un terreno solido, su una struttura musicale personale, costruita magari con fatica e con le ingenuità di chi non “nasce imparato” ma con la passione di chi ama il suo strumento e assieme a questo è alla ricerca di una strada e di un suono personale.
Lunga vita!
Empedocle70
I dischi di improvvisazione per strumento solista tradiscono sempre un’indole e un animo molto intimo e con dovuta ragione: cosa c’è di più difficile e allo stesso appagante per un musicista di doversi esibire senza una partitura, senza uno spartito di fronte al suo pubblico o in uno studio di registrazione?
In un certo senso questi dischi rimangono come pure espressioni di un’idea, di uno stile, di una forma musicale cristallizzata e legata al suo tempo di esecuzione. Ora si è così, si suona così, domani, tra un mese, tra un anno cambia tutto: una specie di istantanea, di attimo congelato, di ”Pasto Nudo” con il quale saziare se stessi e il proprio pubblico.
Marco di idee ne ha e le sa mettere a fuoco, lo fa con la nervosa tranquillità di chi sa che questo può fare e nel farlo sa di dover pagare il giusto tributo alle sue influenze musicali che mi sembra emergano in modo chiaro e lineare. Il suo suono saturo, distorto quanto basta ma allo stesso tempo diretto nella sua proiezione rimanda a Jimi Hendrix, il suo partire quasi senza l’attacco a Fred Frith e Derek Bailey a cui Marco sembra collegarsi anche per l’ideale struttura libera delle improvvisazioni e per l’uso nervoso degli stoppati, utilizzati per creare una struttura ritmica sottostante ai feedback chitarristici.
Forse c’è più blues che jazz, più senso della narrazione che strutturalismo musicale, più il desiderio di osare correndo qualche rischio in più che non il piacere di suonare in maniera impeccabile ma senza passione.
Credo di non sbagliare dicendo e pensando che Marco non è uno che gioca a dadi, ma che poggia i piedi su un terreno solido, su una struttura musicale personale, costruita magari con fatica e con le ingenuità di chi non “nasce imparato” ma con la passione di chi ama il suo strumento e assieme a questo è alla ricerca di una strada e di un suono personale.
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Empedocle70
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