mercoledì 2 gennaio 2008

Note su "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" di Benjamin di Walter Falciatore parte seconda

Con queste analisi, benché frammentarie, benché il suo scritto sia datato per altri versi, Benjamin intendeva ottenere una ridefinizione dei rapporti tra arte e comunicazione e arte e società, e alla introduzione di una interpretazione dell’arte arte per le masse che passava attraverso l’abbandono della tradizione, giungendo così al cuore stesso del problema e prefigurando lucidamente quegli scenari futuri che in larga misura si sono venuti poi delineando secondo quanto egli aveva anticipato.

Ciò nondimeno, mentre la sua interpretazione sociologica della attività artistica o del suo futuro fu corretta previsione, potrebbe essere che alcuni suoi concetti di fondo circa la natura dell’arte stessa necessitino di qualche modesta critica e correzione, poiché permane un conflitto tra arte e società che è dubbio affermare la tecnologia, con il suo intervento sull’estetica, abbia potuto nel mondo contemporaneo sanare e, nel medesimo tempo, accade a Benjamin ciò che accade ad altri non specialisti quando trattano delle cose artistiche i quali “ spostando la loro attenzione sul contesto sociale come principale fonte di significato finiscono anche per svalutare le nozioni fondamentali sul valore dell’arte moderna”.I due criteri a cui Benjamin si affida per illustrare la rottura della continuità tra l’arte antica e quella moderna rispondono, come si è detto, alla perdita di “aura” o di autenticità della prima e alla acquisizione della serialità che caratterizza il prodotto artistico mediante le nuove tecniche di riproduzione tecnologica che condizionano la produttività artistica a venire.Ma che cosa sarebbe dunque esattamente questa “aura” di cui le opere antiche disporrebbero e che la riproducibilità tecnica avrebbe distrutto? Benjamin la descrive come “ l’hic et nunc dell’opera d’arte la cui esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova” e afferma anche che“ciò non vale soltanto per l’opera d’arte, ma anche e allo stesso titolo, ad esempio, per un paesaggio che in un film si dispiega di fronte allo spettatore, in un processo che investe, dell’oggetto artistico, un ganglio che in nessun oggetto naturale è così vulnerabile, cioè la sua autenticità”. E ancora: “Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione.

Moltiplicando la riproduzione essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi”.Con ciò Benjamin stabilisce una cesura netta tra l’arte tradizionale e quella moderna (e contemporanea) quando allude ai fenomeni artistici tradizionali come ogni volta unici rispetto a quelli dell’epoca tecnologica che sono invece sempre frutto di replica (nel contesto contemporaneo si perde la distinzione tra originale e copia) e, più ancora, nel citare la vulnerabilità dell’arte come prodotto naturale fissa il motivo del distacco tra l’una e l’altra arte di modo che appare chiaro che cosa in realtà debba ora intendersi per “aura”o meglio, da che cosa scaturisca questa proprietà nell’opera d’arte dell’origine; da nient’altro che il suo rapporto non tecnologicamente mediato tra la genesi della forma stilistica e la sua coesione con la natura come forma. Concetto che ritorna espresso in tutta evidenza in un altro suo saggio sull’argomento sul collezionista e storico dell’arte Eduard Fuchs di cui riporta l’opinione secondo la quale l’arte antica nel suo complesso non fu che il meglio che l’animalità potesse esprimere.Allo stesso modo accade quando Benjamin fa riferimento alla differenza esistente tra la percezione diretta di un paesaggio e la sua visione filmata dove la contemplazione diretta è null’altro che la contemplazione della natura mentre la sua immagine riprodotta ne rappresenterebbe, e qui Benjamin è involontariamente chiarissimo, “una seconda natura”.



(..segue..)

Walter Falciatore
http://www.kore.it/CAFFE/caffe.htm

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