venerdì 18 gennaio 2008

Note su "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" di Benjamin di Walter Falciatore parte terza

Ammesso che per Benjamin e anche per noi si diano ormai due concezioni distinte dell’oggetto artistico, l’una in cui il rapporto tra manipolazione tecnica e opera si potrebbe definire naturale e l’altro mediato da tecnologie il cui rapporto con la natura s’è irrimediabilmente spezzato; è necessario tuttavia ricordare che nelle interpretazioni sociologiche degli sviluppi dell’arte moderna ricorrono comunque fraintendimenti circa il suo statuto di cui già Benjamin era caduto vittima e che in seguito la critica specialistica ha provveduto a correggere.Non è vero , per esempio, o almeno non è del tutto vero, che la nascita della tecnica fotografica abbia modificato in modo radicale il processo della creazione artistica. Lo storico dell’arte sa bene che esistono nella storia delle immagini numerosi esempi in cui la concezione dello spazio che in seguito sarà caratteristica della nuova tecnica viene prefigurata e anticipata con opere in cui il cosiddetto “taglio fotografico” si palesa evidente ben prima della nascita della fotografia stessa. Anzi si potrebbe in buona misura dimostrare che è stata spesso l’autonoma ricerca formale dell’artista a contaminarla e a imporre alla fotografia l’applicazione delle sue leggi. Tutto ciò lo si può rintracciare nelle vedute di Canaletto, come nel particolare ordinamento prospettico della stampa giapponese (la cui conoscenza influirà sull’arte moderna ben più della fotografia) o, per fare un riferimento più attuale, nei disegni del fumettista Milton Caniff, le cui chine tracciate a pennello o con la punta di una canna di bambù valsero ad ispirare le immagini di jungla esotica nei films hollywoodiani contribuendo a determinare lo stile a suo modo affascinante di quelle opere di facile consumo.Discorso non dissimile va fatto per il rapporto tra l’opera d’arte e la serialità della riproduzione. Vi è in effetti già ampia manifestazione di serialità nelle opere dell’arte del passato e tuttavia, non per questo, tali opere manifestano la perdita della loro “aura” originaria. Lo si può affermare a proposito di molta parte delle realizzazioni dell’arte ceramica, sia greca , che orientale, che frutto del meraviglioso arcaismo ripetitivo degli indiani pueblos o hopi. Benjamin soggiace qui al pregiudizio caratteristico di coloro , e sono ancora molti, i quali ritengono che la creatività sia sostanzialmente, in ogni istante del suo agire, non altro che ispirazione e che l’oggetto d’arte sia sempre il risultato dell’associazione di essa con una superata mentalità individualistica. Ma basta per esempio rivolgersi ai rilievi architettonici di un tempio precolombiano o all’iterativo sensualismo, energetico quanto assente, di un edificio di culto indiano, per scoprire di quanta grammaticale ridondanza siano caratterizzate simili opere, nelle quali individualismo, serialità, eccellenza tecnica e rispetto della tradizione si mescolano in un flusso indistinto.Un flusso che a sua volta già possiede quel carattere di narrazione che nel cinema si svilupperà nelle sequenze in movimento.



(..segue..)
Walter Falciatore
http://www.kore.it/CAFFE/caffe.htm

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