martedì 29 gennaio 2008

TAMMURRIATE III parte di Esposito Titti


Dopo aver posto la nostra attenzione alla matrice pagana della tammurriata e ad alcuni suoi rituali legati al calendario liturgico, appare opportuno evidenziare anche altri aspetti che siffatta forma musicale ha nel corso dei secoli esternato.
Nata come canto di lavoro, ma utilizzata anche nei momenti di svago per alleviare la fatica quotidiana, la tammurriata diviene da subito espressione e strumento per diffondere e consolidare i valori intrinseci l’humus rurale e le modalità di adattamento dell’uomo ai naturali cicli del creato. Difatti, da ottobre a gennaio, quando la natura dorme e si prepara per fiorire nei mesi successivi, anche l’attività dei cultori di tale linguaggio è legata esclusivamente alla preparazione degli strumenti (si ricercano i legni più adatti, si conciano le pelli, si costruiscono o riparano gli strumenti); le prime “suonate” solo a Sant’Antonio (17 gennaio) e a Carnevale e poi, con il risveglio della primavera, l’arrivo dell’estate e il lavoro nei campi… le grandi feste… le lunghe veglie dei pellegrinaggi.
I contenuti sono da ricollegarsi dunque anche alla natura e ai suoi ritmi, ai sentimenti umani più immediati e passionali e quindi al concreto evolversi della vita dell’individuo in una data comunità e in un determinato contesto geografico e storico con precise forme di organizzazione sociale.
Il canto di conseguenza, ricco di metafore, doppi sensi, similitudini ed eufemismi maliziosi, appare poesia “collettiva” e “manifesto” della collettività mentre la musica svolge una vera e propria funzione sociale.

I testi utilizzati non hanno mai un’articolazione fissa; i cantori attingono di volta in volta da un vasto repertorio di distici memorizzati che la trasmissione orale ne ha fatto patrimonio comune per cui ogni esecuzione risulta una “composizione” unica e originale.
A questo punto è facile comprendere le piccole varianti che è possibile riscontrare nelle tammurriate delle diverse zone campane anche se, chiaramente, l’elemento portante con il suo ritmo è per tutti la tammorra. Accanto ad essa, però, fanno bella mostra di sé le castagnette, intagliate nel legno di ulivo, limone o arancio e suonate a coppia: quelle “maschio” impugnate con la destra e differenti lievemente di tono dalle “femmine”, impugnate con la sinistra. Ciò rievoca un’antica simbologia secondo la quale nell’uomo è possibile individuare elementi maschili ed elementi femminili, simbologia riscontrabile anche in alcune rappresentazioni iconografiche di Madonne del Meridione che hanno sulla destra il Sole e sulla sinistra la Luna: ovvero il “maschile” ed il “femminile”.


Certo l’opera di ricerca condotta dagli etnomusicologi negli ultimi decenni in questo campo non è stata sempre facile, assenza di fonti scritte e quindi di una documentazione consultabile attendibile ha costretto gli studiosi ad una faticosa ricerca “in campo” e quindi ad un contatto diretto con alcuni detentori del linguaggio della tammorra. Ciò ha permesso però anche il cogliere una serie di valori pratici, etici ed estetici che hanno favorito una migliore comprensione dei componenti magico-rituali e culturali della tammurriata.


Dalle ricostruzioni fatte è emerso comunque che pur essendo legata al mondo contadino talvolta la tammurriata è riuscita a varcare i confini delle realtà rurali. Tra il cinquecento e il seicento a Napoli era possibile ascoltare delle forme musicali affini ad essa che le cronache del tempo chiamavano “canzoni” senza tralasciare, poi, che, presumibilmente, anche la canzone partenopea di alto lignaggio ha talvolta attinto dal suo patrimonio : un esempio può essere dato dalla struggente e bellissima canzone “Fenesta ca lucivi”(il testo narra di un innamorato che non vedendo più la luce accesa alla finestra della sua amata, comprende che è motta e se ne strugge) che giunta a Napoli come “canto di disperazione” viene modificata nel ritmo e nella musica per divenire il classico che noi conosciamo.


Quello che comunque oggi è giunto a noi è certamente solo una piccolissima parte di ciò che è stata la “tammurriata” nei secoli passati. Consapevoli che il trascorrere del tempo, amico fedele dell’oblio, la modalità di trasmissione, la contaminazione del progresso, l’industrializzazione e la migrazione verso i centri urbani hanno in gran parte minato quella attività spirituale della collettività capace di creare, tramandare e rinnovare un certo tipo di cultura in cui ogni particolare ha una propria simbologia, non ci resta che cogliere sorridendo la ricchezza poetica che l’espressività della tradizione orale campana ci offre.





Esposito Titti

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