Sia riflettendo sul ruolo crescente degli 'audiovisivi' nel panorama culturale
contemporaneo, sia su quello della grafica pubblicitaria (e non), si ritorna al
tema della 'sofferenza' di chi è abituato a lavorare con la parola nella c.d. civiltà dell'immagine (non ricordo più dove, ma qualcuno si è espresso proprio in questi termini, affrontando tale questione..). Sofferenza? Forse è più giusto parlare, di una condizione soggettiva in cui il ‘letterato’ si sente vittima di una sorta di colonizzazione'.. Però... c'è poco da fare. Oggi un letterato deve diffidare di quello che per secoli è stato considerato lo strumento principe per la diffusione dell'opera sua: il libro. A giudicare dal fatto che molti, troppi libri (soprattutto quelli di poesia) ammuffiscono negli scaffali... mentre le opere che usano i nuovi mezzi di comunicazione invadono il mondo. Il fatto è che il sistema delle comunicazioni di massa ha completamente rivoluzionato non solo i modi di produzione e distribuzione dei prodotti culturali, ma la concezione stessa del lavoro intellettuale, comprese le aspirazioni, le ambizioni, le aspettative di coloro che a quel lavoro si dedicano. Cosa ovvia, direte voi, ma come spesso accade sotto la patina superficiale dell'ovvietà si celano a volte verità profonde che sfuggono all'attenzione dei più. Tanto per dire, non credo che sia tanto diffusa la condapevolezza del fatto che Gianni Rodari definiva così: "Adesso abbiamo una lingua che parlano tutti gli italiani e questa lingua è un portato della televisione, non della letteratura, non della cultura italiana, non dei governi italiani, e neanche della televisione come organismo politico-culturale, ma della televisione come mezzo"(1).
E per misurare il cammino percorso è bene ricordare brevemente quale fosse il punto
di partenza: tutte le ricerche specialistiche rivelano infatti che la conoscenza
della lingua italiana, fuori di Toscana e zone limitrofe, era limitata prima del
1950 a percentuali inferiori al 10% dell' intera popolazione! Insomma, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa ha prodotto quella diffusa alfabetizzazione che nel nostro paese è stata clamorosamente mancata dalla scuola dell'obbligo (non dimentichiamo che la scolarizzazione di massa era uno dei progetti portanti dello stato italiano fin dalla sua istituzione, nel 1861!). Quanto Marcello Argilli dice dei bambini-lettori, può tranquillamente essere esteso alla letteratura in genere, pari pari. "I bambini-lettori costituivano infatti un ristrettissimo pubblico, socioculturalmente abbastanza omogeneo, e quasi esclusivamente dal libro traevano alimento al proprio immaginario"(2). Ora che i bambini-lettori sono ormai una specie estinta, lo scrittore si trova di fronte un estesissimo pubblico 'potenziale' di bambini alfabetizzati, ma tutti profondamente influenzati da una quotidiana e suggestiva fruizione audiovisiva. In questa condizione, vale per tutti l'avvertimento rodariano circa i rischi che uno scrittore corre producendo 'per gli audiovisivi': "I pericoli sono gravi; quello, fra gli altri, di lavorare per la confezione di un prodotto che l' 'oltrepassa' e che si consuma rapidamente senza lasciar tracce, nel senso tradizionale"(3). D'altra parte, il rischio di 'passare senza lasciar tracce', come si è visto, non è certo prerogativa dei soli scrittori di sceneggiati TV. Il libro stesso, il luogo privilegiato della produzione letteraria, nell'epoca dell' 'usa e getta', rischia di fare la stessa fine.. Con la differenza che uno spettacolo televisivo o un cartellone pubblicitario viene bene o male imposto
a milioni di sguardi più o meno distratti.. Al povero libro non è concessa invece
nemmeno questa magra consolazione...
Fausto Bottai
(1) Gianni Rodari, Il ragazzo e il libro, in ‘Quaderni della provincia di Milano’,
(2) Marcello Argilli, Gianni Rodari, Einaudi,
(3) ibidem
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