martedì 22 aprile 2008

Composizioni a sezioni finali di verso obbligate

Prendiamo, a mo' di esempio, questo famosissimo sonetto di Ugo Foscolo (chi non lo conosce?):

Sera

Forse perché della fatal quiete
tu sei l'imago a me sì cara vieni
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

Se consideriamo solo le sezioni finali dei versi (in questo caso, per altro, le sole parole finali), compiamo una 'restrizione della poesia' simile a quella propugnata da Queneau nei suoi esercizi di 'hai-keizzazione'. "Si noterà" diceva ancora Queneau "che, se l'hai-kaizzazione è una restrizione, l'estensione dell'hai-kai non è altro che una composizione a rime obbligate" (a sezioni finali obbligate). Questo è appunto il nostro gioco: una ricostruzione di un testo poetico a partire dal vincolo costituito da una sequenza di parole poste alla fine di ogni verso. In questo senso il testo originario non è che uno dei tanti, virtualmente infiniti, che possono essere composti a partire da quella sequenza. Questo modo di ragionare di poesia sembrerà senz'altro artificioso ed arbitrario a quanti non si sono mai cimentati con indagini intorno al "rimario" di un poeta: tempo fa, tanto per fare un esempio, significativo nella sua modestia, mi sono preso la briga di compiere una piccola indagine a campione sulle rime dell'"Orlando Furioso", per trovare quelle più ricorrenti. Bene,su un totale di circa un migliaio di versi, ho scoperto che la rima più usata è quella in -ORTE (77 versi sono infatti così rimati, 24 volte (!) con la parola MORTE, 21 FORTE, 12 SORTE, 8 CORTE, 4 CONSORTE, 2 SCORTE etc.). Se poi si considerano le combinazioni, troviamo che l'accoppiata MORTE-FORTE si ripresenta in 15 circostanze! La sequenza MORTE-CORTE-FORTE 3 volte! La tendenza ad incanalare il discorso poetico, magari inconsapevolmente, lungo un 'percorso obbligato' (dall'osservanza dei vincoli imposti dalla rima) pare dunque innegabile. Vale la pena, a questo punto, riportare per esteso le parole che Umberto Eco ha dedicato all'argomento (in Opera Aperta, Bompiani): "Con l'invenzione della rima si pongono dei moduli e delle convenzioni stilistiche.. perché si riconosce che solo la disciplina stimola l'invenzione.. Dal momento che la convenzione è elaborata, il poeta non è più prigioniero della propria pericolosa espansività e della propria emotività: le regole della rima, se da un lato lo obbligano, dall'altro lo liberano, così come una cavigliera libera il podista dal pericolo di lussarsi il piede. (D'altra parte) più la pratica si afferma, più mi propone esempi di alta libertà creativa, più mi imprigiona; la consuetudine della rima genera il rimario, che dapprima è repertorio del rimabile ma via via diviene repertorio del rimato..." Ecco definita, con rara efficacia, la problematica dell'eterno scontro dialettico tra invenzione e maniera, libertà e necessità, proprio di ogni forma d'arte: un dissidio fecondissimo che, come sosteneva Montale, non è solo tra epoca ed epoca, ma vive anche nel cuore di ogni singolo artista, fra momenti in cui "le linee tendono ad aprirsi, il significatovaga e si sforza di disfarsi della c.d. forma, e momenti che segnano un ritorno classico, di piena diffidenza per i significati, per i valori di contenuto."
Nei momenti di crisi, quando il condizionamento imposto dalle consuetudini formali è tale da costringerlo al più bieco manierismo, "il poeta ha la possibilità di ricercare un linguaggio inconsueto, una rimabilità impensata, e quest'uso determinerà la sua tematica e il concatenarsi delle sue idee. Ancora una volta egli sarà in un certo senso agito dalla situazione, ma di questa sua alienazione, fattosene conscio, egli farà strumento di liberazione" (Eco).
Come dire, in altre parole, la condizione del poeta contemporaneo, che ha rifiutato baldanzosamente i vincoli della tradizione, disdegnando quasi sempre la rima in favore di un sistema di concordanze fonetiche più libero (assonanze, allitterazioni); e ancora spezzando il periodo (il ritmo) in frammenti, oppure allungandolo a dismisura, facendolo simile alla prosa etc. etc., in un'opera di continua, feroce dissacrazione delle forme 'classiche'…
Uno dei modi più usuali onde esercitare questa ‘dissacrazione’ è da sempre quello di assumere la norma tradizionale come puro e semplice pretesto 'ludico'. Salvo ricordare che in ogni ‘dissacrazione’ di tal fatta c’è sempre in fondo un minimo di ambiguità, quella per cui la norma dissacrata può ancora conservare paradossalmente qualcosa del suo antico fascino. Come a mio avviso dimostrano l’esempio di ri-composizione del testo a partire dalle sezioni finali dei versi, opera dell’amico Fausto Bottai.

Poesia d'amore

O dolce amica, come sembran quiete
le ombre della sera, quando "Vieni"
mi dici sottovoce, e sono liete
le labbra tue baciando e son sereni
i miei e i tuoi sospiri e le più inquiete
cure del giorno per incanto meni
lungi da noi. Oh, come son secrete
le tue arti d'amore, per cui tieni
e soggiogato qui sulle tue orme!
Così -tu chini appena il capo- fugge
la memoria del mondo nelle torme
dei lumi che si accendono e mi strugge,
nella notte che viene e che non dorme,
il pensiero di te ch'entro mi rugge.

Fauvel

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