domenica 19 settembre 2010

Recensione di Americans di Scott Johnson, Tzadik, 2010


“Americans, are always the same to me, same to me….”

Nuovo di disco di Scott Johnson per la prestigiosa Tzadik, progetto di John Zorn. Un nuovo disco cha aggiunge nuovi capitoli alla sua avventura di sperimentatore e di compositore a cavallo tra atmosfere contemporanee e suggestioni pop e rock e dove la chitarra elettrica recita un ruolo di primo piano sia con un brano come “Bowery Haunt” suonato in copia con un giovane chitarrista / compositore americano chiamato Mark Dancigers, sia negli altri brani dove fornisce il proprio supporto all’interno di un ensemble.
Un disco diverso da “John Somebody” dove prevalevano le influenze del primo minimalismo americano. Qui Scott Johnson sembra aver indirizzato la sua attenzione verso la musica rock, conservando sempre però l’attenzione verso i sampler vocali come nel brano “Americans” che da il titolo all’album dove le musiche sono costruite attorno alle registrazioni di voci di immigranti negli Stati Uniti provenienti da Cina, Romania, e Afghanistan. Si respira in generale una maggiore attenzione verso il suono da ensemble, dove la chitarra gioca con gli altri strumenti, in certi momenti la sua musica mi ricorda i tempi dispari di Zappa di dischi come Jazz from Hell, o certe cose progressive dei King Crimson del dopo “Discipline”, Johnson sembra aver deciso di ripercorre la strada di compositori come Bela Bartok: utilizzare la musica popolare, il rock in questo caso, per estrarne elementi compositivi da poter rielaborare in nuove forme contemporanee, nuovi prototipi musicali con cui giocare per creare una musica d’avanguardia sì, ma allo stesso tempo collegata e non separata dalla società e dal suo tempo, una musica in cui si possa ascoltare il nuovo ma rimanendo sempre con la sospensione di chi, ogni tanto, coglie qua e la delle sfumature, delle idee già note e facenti parte del proprio bagaglio personale.
Bentornato Mr. Johnson, davvero un gran bel disco!

Empedocle70

Una piccola nota personale: sono davvero contento di tornare ad ascoltare dopo tanto tempo uno dei miei bassisti preferiti, il signor Kermit Driskoll.

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