mercoledì 16 marzo 2011

Intervista a Silvia Cignoli, seconda parte


Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Tu suoni sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … ti riconosci in queste parole?

Credo che, a dispetto di quanto sostenevano i futuristi, in musica, in arte, in tutto, il passato è qualcosa che è indispensabile conoscere. Inoltre la musica, come l’arte, non è fatta da compartimenti stagni. Per cui l’uomo, come osserva acutamente Sciarrino nel suo libro “Le Figure della Musica”, per costruire un’opera d’arte o un brano musicale (ma anche un’architettura o una decorazione) non fa altro che mettere in moto dei processi e dei meccanismi costruttivi che spesso evidenziano similitudini di forma e sviluppo anche in epoche storiche e contesti diversissimi. Per cui penso che un musicista dotato di un minimo di cultura e sensibilità possa calarsi senza troppi problemi in un brano rinascimentale piuttosto che in uno contemporaneo.
Dieci anni di studi tradizionali, come quelli da me compiuti, e la frequenza a corsi più specifici permettono di approfondire un po’ tutte le epoche, ma certo non bastano per ritenersi degli esperti di una o di un’altra epoca. Nel mio caso al momento sto seguendo quella che è la mia grande passione da quando ero piccola, la musica contemporanea. Anche se continuo ad amare molto suonare gli autori “classici” della chitarra, che formano per ora la parte preponderante del repertorio che eseguo con la bravissima flautista Cinzia Cruder, con la quale formiamo il Duo Antilia.

Hai partecipato a diversi corsi e masterclasses di perfezionamento sul repertorio dell’Ottocento, sul Tango, sulla musica antica, su quella contemporanea e sull’improvvisazione con i Maestri Maccari e Pugliese, Javier Pèrez Forte, Massimo Lonardi, Elena Càsoli, Arturo Tallini, Sharon Isbin, Aldo Minella. Hai partecipato a corsi estivi tenuti dai maestri Arturo Tallini, Giuseppe Pepicelli, Agostina Mari, Vittorio Casagrande, Enea Leone, Roberto Masala. Che ricordi hai di queste masterclass e di questi insegnanti? Chi ti ha colpito di più?

Inutile dirlo, ognuno di questi grandi artisti mi ha lasciato qualcosa di importante. Con la loro musica, la loro esperienza, il loro atteggiamento verso le cose, con frasi che hanno illuminato la mia ricerca come musicista.
Ma la persona che senza ombra di dubbio ha contribuito maggiormente alla mia formazione umana e artistica è colei che è stata la mia insegnante di chitarra per dieci anni, Paola Coppi, che mi ha accompagnata, instancabile, forte, generosa, appassionata, esigente, comprensiva, al mio diploma. Paola è stata una figura importantissima, capace di vedere dentro e oltre me, capace di essere severa e affettuosa allo stesso tempo, di non oscurare mai la mia personalità artistica ma di valorizzarne l’unicità. Dotata di una sensibilità umana e musicale fuori dal comune, è capace di far comprendere la Musica senza usare paroloni o filosofie, ma riuscendo a far parlare le dita dei suoi allievi. Non sarei mai stata quella che sono senza la sua preziosa presenza.

Quale significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Il primo approccio con l’improvvisazione fu quest’estate a un corso estivo con Arturo Tallini. Ero completamente digiuna in materia e lui ha saputo esattamente come farmi entrare nello spirito dell’improvvisazione, ed è stato molto, molto divertente!
Per ora sto solo “assaggiando” questa pratica (a febbraio parteciperò a un concerto per la stagione Novecento e Presente a Lugano dove dovremo improvvisare su musiche di Caccini, Stefani, Bartok), ma spero di riuscire presto ad approfondire maggiormente l’argomento.
Non credo si possa parlare di vera improvvisazione nel repertorio classico anche se, allargando il significato del termine, in un certo senso in ogni concerto e ogni volta che suono c’è un’ alta dose di imprevedibilità, per cui potrei affermare che la mia interpretazione dei brani che eseguo è, molto spesso, improvvisata.
Certo nella musica antica, nel Barocco e fino all’Ottocento sappiamo bene che spesso le note scritte erano molte meno di quelle che poi uscivano dalla bocca di un cantante o dall’arco di un violino, ma non dobbiamo dimenticare che queste prassi erano normali all’epoca, quindi erano in un certo senso codificate ed entravano a far parte del “gergo” dei musicisti. Per cui mi sembra un po’ azzardato parlare di vera e propria improvvisazione che, nel mio immaginario, ha una connotazione molto più libera.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Ci troviamo in un’epoca privilegiata rispetto al passato proprio perché possiamo disporre facilmente di materiale storico. Prima l’interesse per la riscoperta del passato era molto inferiore rispetto a oggi e fino all’avvento delle nuove tecnologie (cd, internet,..) anche lo studio era molto meno agevole.
La fruibilità di spartiti e registrazioni che circolano in rete e nei negozi permettono ad ognuno di noi di avere fra le mani molto facilmente spartiti e registrazioni, ma tutt’altra cosa è capirle a fondo. Per fare questo è necessario studio e approfondimento. Ed esistono sempre più persone che decidono di dedicarsi allo studio della musica del passato e che ci mettono a disposizione il frutto del loro lavoro.
In conclusione, quella della globalizzazione è una componente della nostra epoca dalla quale non possiamo prescindere, ma che dobbiamo saper sfruttare a favore della nostra conoscenza e della nostra arte.
Se un musicista o compositore ha alle spalle una certa sensibilità e coscienza musicale, questo problema non esiste.

continua domani

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