venerdì 11 marzo 2011


ICONE NEURONICHE SULLE AUTOSTRADE SPINALI
BALLARD MILANO 2011
In occasione del secondo anniversario della morte di James G. Ballard
a cura di Antonio Caronia, Francesca Marianna Consonni, Giuseppe Isgrò
dal 5 aprile al 22 giugno

PhoebeZeitgeistTeatro / NOTE PER UN COLLASSO MENTALE
Una partitura per voci, corpi, chitarra, live electronics e altro, liberamente ispirata all’opera di James G. Ballard.
Questa nuova produzione di PhoebeZeitgeistTeatro è molte cose insieme: un recital concitato di un testo attualissimo, un progetto di discussione attorno ai migliori e ai peggiori sentimenti della contemporaneità, un’ecografia al ventre gravido dell’immaginario, il quale ha tempi di gestazione inimmaginabili, immediati o epocali. Lo sguardo con cui Giuseppe Isgrò si è dedicato allo studio di Ballard è stato quello di farne risuonare le capacità anticipatorie scagliandole sulla tragedia della loro piena realizzazione, alla luce dei nostri giorni, ora che la nostra capacità connettiva supera la nostra capacità emotiva, che il nostro corpo è sempre ufficialmente altrove, che i nostri spazi di vita sono strozzati tra le architetture dei nostri desideri e che i nostri desideri sono stati subaffittati, esternalizzati. Il testo sperimentale The Atrocity Exhibition, che Ballard ha pubblicato in prima edizione nel 1970, è esso stesso un’esplosione di immagini tutte indipendenti e tutte profondamente collegate da una dimensione erotica subliminale costante. E’ il racconto della vita segreta delle immagini e del loro dissennato accoppiarsi per liberare senso, tempo, e quelle alterazioni psichiche collettive che noi viviamo come “normalità”. Ed è il racconto di come l’intenso traffico di questi corpi evanescenti, parallelo a congestioni e funzionamenti del nostro sistema nervoso, abbia una dimensione effettiva, un effetto carnale, un destino vitale: l’immagine della violenza, della guerra, del dolore sono le appendici visive di un sistema che ci contiene e che spinge incessantemente per la propria conservazione, anche e nonostante la nostra singola caducità. Con l’amore e con la violenza noi seminiamo noi stessi nel mondo; ogni immagine pubblica di amore e di morte è una spora di questa semina. “Nelle menti più forti i contenuti concettuali si collegano alla profondità del sesso”; in questa indicazione, contenuta nella prefazione dedicata al romanzo di Ballard, William S. Burroughs scocca la freccia che attraversa tutto lo spettacolo. Gli attori (Andrea Barettoni e Francesca Frigoli) sono costantemente dentro e fuori i propri ruoli, dentro e fuori pazzia e normalità, malattia e cura, ma più propriamente gli attori di questo progetto sono testo. Essi non sono mai personaggio e sono per tutto il tempo in scena come significanti. Ecco perché il lavoro di PhoebeZeitgeistTeatro appare sempre forte e tutto proiettato in avanti, poiché instilla fugacemente la visone dell’oggi come psicoattiva e responsabile di tutti i nostri futuri immaginari. La messinscena è infatti abilissima nel richiamare nella mente di chi osserva, immagini note e familiari, clichè, icone e intimità descritte “aldilà del desiderio”. Il regista ha infatti inanellato alcuni dei frammenti de La mostra delle atrocità, costruendo una preziosa sequenza in cui ogni cosa è ribaltata o distorta ad arte: il sesso, il porno, la follia, il mito, la femmina, la guerra, la chirurgia estetica, la malattia, la ferita, la scienza, la morte sono ora paradossi estetici, ora paradigmi rovesciati della funzione politica della visione e dell’arte, o artificio, che la pratica. Ulteriori distorsioni eccellenti sono presenti sulla scena, a sottolineare come tutto possa essere contemporaneamente dolorosamente retto e squisitamente inverso: l’incredibile suono di Alessandra Novaga, supportato dal sound design di Giovenni Isgrò, che infilza la sua dolcissima chitarra classica con un archetto da viola, mosso come l’ago che cuce ogni frammento della scena, per tutta la durata dello spettacolo; le immagini video di Francesca Cianniello che emergono nel racconto come delle persistenze retiniche di immagini della mente e la voce di Nicola Stravalaci che recita, emolliente tra una botta e l’altra, le note di commento che Ballard stesso ha scritto negli anni novanta. Infine, opera nell’opera, le maschere di Giovanni De Francesco, una fusione di umano, animale e geometria, sono esse stesse immagini della mente, ambigue e desiderabili e appaiono, come tanti momenti di questo spettacolo, surrealtà dall’aspetto candido, erotico, austero, pericolosissimo.

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