Breve introduzione
Scrivere sul timbro della chitarra è impegnativo perché l’argomento è quanto mai delicato e si è spesso prestato alle più svariate interpretazioni. Premetto dicendo che l’oggetto di questo articolo non è la policromaticità della chitarra, discussa ampiamente nei trattati. Userò il risultato di principi fisico-matematici, ma non introdurrò equazioni o grafici per non appesantire la discussione. Mi servirò anche di considerazioni estetiche ed empiriche, perché non c’è altro modo (a meno di comparare lo spettro delle frequenze) per mettere a confronto due o più timbri diversi.
Per il loro carattere, alcuni timbri chitarristici vengono percepiti come “caldi” o “scuri” o “belli”. Esagerando, ma non troppo, “pianistici”. Altri “metallici”, “duri”, “spigolosi”, e così via. Addirittura “meno belli”.
Considero inconcludente ogni tentativo di discussione sulla bellezza dell’uno o dell’altro timbro che abbia come scopo la soluzione del dilemma. Anzitutto perché non esiste una distinzione netta tra i due timbri. Inoltre, la chitarra è originale proprio per l’enorme ventaglio di colori sonori che può manifestare. Nella mia idea, però, ogni chitarrista ha un timbro base, una “tinta” prevalente, dalla quale si discosta per necessità interpretative. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto l’iter di apprendimento porta inevitabilmente ad avere una posizione della mano, una articolazione dei movimenti ed una forma delle unghie prevalenti.
Da qui in poi parlerò di un timbro “caldo” e di un timbro “metallico”, sapendo già di essere capito. Tralasciando volutamente qualsiasi riferimento a come ottenerli e a quale sia la causa fisica che produce l’uno o l’altro effetto.
La tesi
Voglio dimostrare che un suono “caldo” ha una maggiore uniformità spaziale e una proiezione a distanze maggiori rispetto ad un suono “metallico”. E per farlo introduco innanzitutto delle condizioni al contorno.
Alcune condizioni al contorno
Intendo entrambi i suoni da confrontare prodotti dalla stessa chitarra, dalla stessa corda e sulla stessa nota (poniamo il MI cantino a vuoto). Pizzicata nello stesso punto.
I due suoni, per essere confrontati, devono contenere la stessa energia. In termini più rigorosi, l’integrale su tutto lo spettro in frequenza di entrambi i suoni, registrati nello stesso punto nello spazio (qualsiasi, ma identico per entrambi gli esperimenti) deve essere lo stesso. A questo punto non occorrerebbe aggiungere altro, ma voglio precisare che intendo la corda avente la componente vibrante principale contenuta nello stesso piano per entrambi gli esperimenti (questo per rendere il suono indipendente dai diversi modi di vibrazione della tavola armonica).
Per rendere gli esperimenti indipendenti da effetti ambientali quali riflessioni, rimbombi, eco etc. poniamo di essere all’aperto e senza ostacoli.
Stessa unghia, o unghia con identiche proprietà meccaniche.
A parità di tutto cambierà la forma che la corda deformata assumerà al momento di essere rilasciata.
Scrivere sul timbro della chitarra è impegnativo perché l’argomento è quanto mai delicato e si è spesso prestato alle più svariate interpretazioni. Premetto dicendo che l’oggetto di questo articolo non è la policromaticità della chitarra, discussa ampiamente nei trattati. Userò il risultato di principi fisico-matematici, ma non introdurrò equazioni o grafici per non appesantire la discussione. Mi servirò anche di considerazioni estetiche ed empiriche, perché non c’è altro modo (a meno di comparare lo spettro delle frequenze) per mettere a confronto due o più timbri diversi.
Per il loro carattere, alcuni timbri chitarristici vengono percepiti come “caldi” o “scuri” o “belli”. Esagerando, ma non troppo, “pianistici”. Altri “metallici”, “duri”, “spigolosi”, e così via. Addirittura “meno belli”.
Considero inconcludente ogni tentativo di discussione sulla bellezza dell’uno o dell’altro timbro che abbia come scopo la soluzione del dilemma. Anzitutto perché non esiste una distinzione netta tra i due timbri. Inoltre, la chitarra è originale proprio per l’enorme ventaglio di colori sonori che può manifestare. Nella mia idea, però, ogni chitarrista ha un timbro base, una “tinta” prevalente, dalla quale si discosta per necessità interpretative. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto l’iter di apprendimento porta inevitabilmente ad avere una posizione della mano, una articolazione dei movimenti ed una forma delle unghie prevalenti.
Da qui in poi parlerò di un timbro “caldo” e di un timbro “metallico”, sapendo già di essere capito. Tralasciando volutamente qualsiasi riferimento a come ottenerli e a quale sia la causa fisica che produce l’uno o l’altro effetto.
La tesi
Voglio dimostrare che un suono “caldo” ha una maggiore uniformità spaziale e una proiezione a distanze maggiori rispetto ad un suono “metallico”. E per farlo introduco innanzitutto delle condizioni al contorno.
Alcune condizioni al contorno
Intendo entrambi i suoni da confrontare prodotti dalla stessa chitarra, dalla stessa corda e sulla stessa nota (poniamo il MI cantino a vuoto). Pizzicata nello stesso punto.
I due suoni, per essere confrontati, devono contenere la stessa energia. In termini più rigorosi, l’integrale su tutto lo spettro in frequenza di entrambi i suoni, registrati nello stesso punto nello spazio (qualsiasi, ma identico per entrambi gli esperimenti) deve essere lo stesso. A questo punto non occorrerebbe aggiungere altro, ma voglio precisare che intendo la corda avente la componente vibrante principale contenuta nello stesso piano per entrambi gli esperimenti (questo per rendere il suono indipendente dai diversi modi di vibrazione della tavola armonica).
Per rendere gli esperimenti indipendenti da effetti ambientali quali riflessioni, rimbombi, eco etc. poniamo di essere all’aperto e senza ostacoli.
Stessa unghia, o unghia con identiche proprietà meccaniche.
A parità di tutto cambierà la forma che la corda deformata assumerà al momento di essere rilasciata.
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