martedì 26 gennaio 2010

Intervista a Guido Fichtner prima parte


Come è nato il suo interesse per la chitarra?




Avevo 10 anni e mi capitò di vedere in televisione Josè Feliciano, un cantante non vedente che andava forte negli anni sessanta. Questi cantava accompagnandosi con una chitarra e spesso fra una strofa e l’altra staccava dei soli con la chitarra. Fui folgorato; per me fino a quel momento la chitarra era solo zum-zum col plettro e purtroppo, per la mia timidezza, cantando! Esternai la mia voglia di suonare ma rigorosamente senza cantare. A Natale mi arrivò una bella chitarra arancione e mia madre mi volle cercare un insegnante. Il caso (oggi lo chiamo destino) fu che un mio compagno di classe andava a lezione da un signore che abitava a 500 metri da casa mia e mi fece avere il numero di telefono. Si chiamava Mauro Storti.

Lei si è diplomato col Maestro Mauro Storti, che ricordi ha del periodo del Conservatorio e dell’insegnamento ricevuto dal Maestro Storti?




Sono stato per quasi tutta la mia infanzia un allievo privato di Mauro Storti. Un po’ per la vicinanza con la sua abitazione e viceversa per la lontananza dal Conservatorio dove egli insegnava (Piacenza). Inoltre per altre mie passioni sportive (ero in agonismo di ginnastica artistica), la chitarra rimase per me un hobby fin verso i 17 anni. Solo allora cominciai a fare musica sul serio e solo dopo il liceo fui preso dall’idea di poter fare il musicista come scelta di vita. Iniziai allora a frequentare il Conservatorio ma ero già grande e sbrigai in fretta i miei studi ufficiali. La mia esperienza di studente si svolse per lo più all’interno delle mura domestiche di casa Storti. Oggi non posso non rendermi conto della fortuna che ebbi nel cominciare fin dalla prima lezione con lui. Passo dopo passo riuscì a portarmi dalla prima nota in tocco appoggiato sulla prima corda ad un diploma da 10 e lode. Oggi, conoscendo il percorso ad ostacoli (spesso con tanti e non sempre buoni insegnanti) di molti dei miei allievi e dei miei colleghi, devo ringraziare la buona stella che mi ha regalato molti anni di precisa ed entusiastica guida didattica, senza scossoni né patemi. All’inizio non fui un allievo brillantissimo e sono certo che il mio studio per molti anni non ripagò il lavoro del Maestro (me lo ricorda spesso lui) che tuttavia ebbe molto fiuto ad individuare le mie qualità e molta pazienza ad attendere che i semi che piantava dessero frutti. Alla fine la vinse e la musica divenne per me una passione cocente. Gli sono molto grato. Oggi la consapevolezza di questo esempio mi aiuta a non giudicare in maniera frettolosa quegli studenti che, seppur dotati, faticano ad ingranare come ogni docente vorrebbe. Insomma: “se son rose fioriranno”. Storti con me fu un insegnante pieno di energia, di entusiasmo, capace di far amare la musica di qualunque periodo storico, di sistemare qualunque difficoltà tecnica con un esercizio specifico (era giovanissimo pure lui e non aveva ancora pubblicato quasi nulla), a volte solo con una semplice correzione o un consiglio. Mi parlava con chiarezza senza usare giri di parole, senza filosofare, ma stimolando continuamente la mia attenzione a leggere le informazioni musicale nascoste fra le note e soprattutto mettendo le mie mani in condizione di risolvere qualunque problema tecnico. Insomma, mi diede una preparazione di altissima qualità. In seguito rielaborai alcuni di quegli insegnamenti ma senza dimenticarne mai l’origine; del resto questa è la sola strada per crescere e fa parte della natura stessa della vita.

Dopo il diploma lei si è recato in Francia e ha studiato diplomandosi a Parigi con Alberto Ponce, cosa ha trovato di diverso in Francia rispetto al Conservatorio italiano e come si è trovato con Ponce?




Correva l’anno 1984 e in Francia in quegli anni si badava molto alla musica ma un po’ meno alla tecnica, col risultato che tanti buoni musicisti arrancavano sulla chitarra. Noi italiani venivamo considerati più preparati strumentalmente e quindi potemmo più facilmente sfruttare il grande insegnamento musicale di Alberto Ponce. Parlo al plurale perché non ero l’unico italiano che seguiva il Maestro. A fianco a me c’era gente del calibro di Claudio Marcotulli, Walter Zanetti, Maurizio Norrito, Monica Paolini, Arturo Tallini, Sandro Torlontano, Stefano Palamidessi e molti altri coi quali ho condiviso corsi bellissimi, passioni, speranze, emozioni, il tutto condito con un sacco di musica e una montagna di lavoro. Conobbi Ponce quando, senza averlo mai sentito nominare, comprai un disco che conteneva brani di Manuel Ponce (tra cui il Tema variato e finale e la Sonatina meridional) e, fra altri, il Tiento di Ohana e l’Homenaje di De Falla. Ascoltarlo mi diede una scossa e, su indicazioni di Storti che ben lo conosceva, mi misi a cercarlo. A Parigi mi riempì di stimoli con una musicalità travolgente e una sensibilità fuori dal comune. Egli è in grado di tirare fuori il meglio di ogni studente che gli si siede di fronte. Ha nello stesso tempo un ineguagliabile capacità di comunicare, di comprendere la parte migliore della musica e di noi stessi attraverso la musica, di trovare il modo di farla emergere, sempre nel rispetto dello spartito e della personalità dell’allievo. Mi ha aperto grandi finestre di pensiero nella testa e nel cuore. Sono molto grato anche a lui.




continua domani

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