venerdì 2 aprile 2010

Intervista con Marco Cappelli, quarta parte


All'interno del libretto del cd Estudios Sencillos lei scrive "L'improvvisazione è educazione all'ascolto, composizione estemporanea, analisi, conoscenza dello strumento, relazione cosciente col proprio background musicale e tanto altro ancora ..", queste parole mi ricordano quelle di un grande chitarrista Derek Bailey e il suo libro Improvvisation. Quale significato ha l'improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Senti, io ho avuto esattamente lo stesso problema per anni: ero attratto dall'improvvisazione come idea, ma essendo un chitarrista classico non riuscivo a trovare un ambito musicale e un ambiente di musicisti nel quale sviluppare questo mio interesse. Dovevo arrivare a New York per smontare definitivamente questo pregiudizio, che avevo gia` intaccato durante gli anni di formazione in Svizzera, studiando molte partiture, sia solistiche che per ensemble, nelle quali erano espressamente richiesti elementi di improvvisazione.
Improvvisare e` un gesto del tutto naturale per chiunque suoni uno strumento musicale: e` solo la contorsione mentale della nostra accademia (la minuscola e` intenzionale) che ha quasi del tutto eliminato lo sviluppo di tale attitudine elementare dal proprio percorso di studi. In Svizzera, ad esempio, ricordo la classe di Improvvisazione tenuta alla Musik Akademie di Basilea da Walter Fändrich (consiglio a tutti il suo cd "Viola" edito da ECM): un modello geniale di didattica, che meriterebbe un spazio ad hoc per essere descritto.
A New York invece trovo che l'approccio improvvisativo che accomuna musicisti di qualsiasi background dipenda da un lato da un fatto di "tradizione" e dall'altro da un elemento "sociologico": la vita newyorkese e` talmente frenetica che semplicemente non c'e` il tempo di provare! Dunque e` l'ambiente ideale per sviluppare un codice comune basato sulla composizione estemporanea: di necessita` virtu`...


Lei fa parte da diversi anni dell'Ensemble Dissonanzen, di recente è uscito il disco dedicato alla Musica da camera di Henze e nel 2006 quello dedicato alle musiche di Dallapiccola e Petrassi, come è nato questo Ensemble?

L'Ensemble Dissonanzen e` un gruppo legato all' Associazione omonima (http://www.dissonanzen.it/), con base a Napoli. Intorno all'appuntamento annuale del Festival, negli anni si e` sviluppato un nucleo di soci-musicisti provenienti da percorsi diversi (jazz, musica contemporanea, musica antica) che suonano insieme in diverse formazioni: da progetti originali (sonorizzazioni di film muti, composizioni dei membri dell'Ensemble, commissioni ad illustri ospiti) alle pagine di repertorio che hai citato. E` un gruppo con un'identita` trasversale, molto prolifico ed originale, i cui membri stanno sviluppando percorsi individuali prestigiosi nei rispettivi ambiti, come ad esempio il pianista Ciro Longobardi. Una realta` ormai solida della quale sono onorato di far parte praticamente sin dagli albori.

La sensazione che si ha ascoltando la sua musica è che lei sia in grado di suonare qualsiasi cosa: indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostra sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di "sicurezza"?

Sono arrivato ad una conclusione: dando per scontata la preparazione di base necessaria per maneggiare uno strumento musicale, la sicurezza di cui parli dipende da una questione "concettuale".
E` importante sapere cosa si sta facendo e perche`.
Inoltre piu` che la tecnica - che tuttavia ho studiato tanto, anche troppo! - oggi tendo a studiare cercando di ascoltare profondamente di quello che suono: quanto piu` il livello di ascolto e` raffinato e tanto piu` chiara e` la domanda che rivolgo ai miei mezzi tecnici, tanto piu` realizzeranno la risposta raffinandosi essi stessi. Insomma, ad un certo punto si stabilisce un circolo virtuoso tra cio` che immagino, cio` che ascolto e cio` he suono: e le tre dimensioni finiscono per integrarsi migliorandosi a vicenda.


continua domani

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