giovedì 12 febbraio 2009

Speciale Sante Tursi: Intervista di Empedocle70 parte prima


Empedocle70. La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra? Con quali strumenti suona?

Sante Tursi: Ho cominciato ad interessarmi alla chitarra semplicemente perchè in casa dei miei genitori ne circolava una (un modello piuttosto malandato a dire il vero!); all'inizio ero incuriosito soprattutto dal fatto di poter suonare uno strumento polifonico...trasportabile! Nelle prime lezioni -che presi da un insegnante privato- sviluppai la tecnica del plettro e imparai i più comuni giri armonici. Ben presto però cominciai a cercare dell'altro, anche se non sapevo ancora bene cosa; l'occasione mi si presentò un giorno quando vidi un allievo più grande suonare utilizzando le dita della mano destra; fu allora che decisi di studiare anch'io la tecnica della chitarra classica. Il fatto di poter usare quattro dita invece che un solo plettro mi sembrò in quel momento un progresso enorme che avrebbe significato l'apertura di orizzonti nuovi ed illimitati. Posso dire a posteriori che l'amore per la chitarra scaturì da quel semplice episodio - tra l'altro si trattava di un semplice esercizio sulle corde a vuoto; in quei primi mesi di studio (ero alle soglie dell'adolescenza) ciò che mi affascinava di più era la vera e propria sensazione fisico-tattile di poter produrre dei suoni con le mie mani per mezzo della chitarra.
Per quanto riguarda gli strumenti che suono attualmente, alterno sostanzialmente una Bernabè del 1979 ed una Scandurra del 2001.


E. Lei si è diplomato al Conservatorio di Bari, sua città natale e ha studiato per tre anni come borsista presso l'Accademia Chigiana di Siena ottenendo 3 diplomi di merito con Oscar Ghiglia, che ricordi ha di questo insegnante e della sua scuola?

S.T.: Devo precisare che con Oscar Ghiglia ho studiato ulteriori tre anni frequentando i corsi che impartiva presso la Musik-Akademie di Basilea, dove ho poi conseguito il Solisten-Diplom. Ciò che mi colpiva (e mi colpisce tuttora) della sua didattica è il minuzioso lavoro di analisi del testo in tutte le sue componenti e la messa in luce delle relazioni melodiche, armoniche e ritmiche all'interno della struttura formale, arrivando a volte ad una vera e propria (ri)scoperta della composizione che avevo di fronte. Lo snodo principale del suo insegnamento è quindi l'equilibrio tra la severa decodifica dello spartito e l'apertura mentale dell'interpretazione. Veniva poi il lavoro sul timbro e cioè sulla scelta della sonorità più appropriata per una determinata frase. Tutto ciò si traduceva, almeno per la mia esperienza, in un'esplosione di libertà interpretativa all'interno del (ovvio) rispetto del testo scritto.
A pesare sulla mia formazione aggiungerei anche la particolare atmosfera creativa, sia della Chigiana che dell'Akademie, che favoriva lo scambio e l'arricchimento reciproco tra noi giovani studenti provenienti da tanti paesi diversi.


E. Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novencento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei ha suonato e registrato Ponce, Diabelli, Molino, Kreutzer, Rodrigo … e poi è passato al repertorio contemporaneo (Castenuovo Tedesco, Pisati..) si riconosce in queste parole?

S.T.:Non vorrei peccare di presunzione, ma è quello che ho sempre sostenuto. L'uomo è un essere che vive inserito in un flusso temporale e non esiste nessuna attività umana che non provenga da una qualche esperienza precedente; ciò che conosciamo oggi è solo il risultato delle ripetute trasformazioni di un materiale già dato.
A maggior ragione, la musica contemporanea non può essere compresa appieno dall'interprete (ma, aggiungerei, neanche dall'ascoltatore) se non si è assimilato il repertorio delle epoche precedenti. Tutta una serie di "gesti" sonori della musica d'oggi non sono altro che rielaborazioni di materiale preesistente, cosa che certamente non sfugge ad un orecchio attento e preparato.
Inoltre, proprio a causa di queste sottili relazioni, la conoscenza della musica del '900 può vivificare anche le interpretazioni di uno specialista del repertorio barocco o classico-romantico. La nostra stessa sensibilità varia nel corso del tempo e quindi il modo di suonare Beethoven o Chopin, per fare un esempio, evolve assieme all'evoluzione non solo della pratica musicale ma anche di tutto il clima culturale della società. E' in questo senso che le interconnessioni tra presente e passato impongono la necessità, come dice Berio, di una conoscenza globale del repertorio.


E. Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo?

S.T.: Ho sempre avuto un forte interesse per la musica contemporanea, fin dagli anni di studio in conservatorio; il tipo di percorso che ho seguito ne è stato la logica conseguenza.
Ho sempre pensato che il repertorio contemporaneo, meno legato a convenzioni stilistiche rispetto a quello classico, permettesse una sorta di potenziamento delle energie creative dell'interprete e un consolidamento della propria personalità artistica; almeno, questo è quello che io provo di fronte a questa musica. Naturalmente sono ben lungi dall'affermare che il repertorio delle epoche precedenti de-potenzi l'interprete (e in ogni caso la mia scelta di eseguire musica contemporanea non è di tipo radicale; continuo infatti ad eseguire anche il repertorio tradizionale); semplicemente penso che l'atteggiamento interpretativo diventi meno vincolato e, quindi, più libero.

E. Come si è trovato a suonare gli studi di Maurizio Pisati e quali sono state le difficoltà che ha trovato?







S.T.: Ho eseguito gli studi di Maurizio Pisati al Festival Internazionale di Chitarra di Lima nel marzo 2006 nell'ambito del progetto "Sonora" (il cui direttore artistico è il compositore Nicola Sani) patrocinato dal CEMAT, una meritoria istituzione che si occupa della diffusione della musica contemporanea italiana. In quell'occasione ho anche suonato "Attese" di Paolo Rotili, "Olas" di Caterina Calderoni e la "Sonata" di Stefano Taglietti, tre opere commissionate da e gentilmente dedicate al sottoscritto.
Gli Studi di Pisati, che ritengo una delle migliori e più riuscite espressioni del genere in ambito contemporaneo, esplorano nuove potenzialità timbriche dello strumento; il termine stesso ci porta nella direzione della ricerca sonora e dell'esplorazione della tecnica. Accanto ai "tradizionali" staccati, pizzicati, suoni armonici vengono richiesti sfregamenti delle corde anche col pollice sinistro, suoni "soffocati" ottenuti mediante il leggero appoggio del dito sinistro sulla corda, percussioni, glissati; è insomma una sorta di "ri-creazione" della chitarra in cui il suono viene sviluppato su più dimensioni.
Direi però che la difficoltà maggiore, al di là del dato tecnico, risieda nell'inglobare questa visione sonora all'interno della struttura formale, in maniera da sviluppare un discorso coerente e scorrevole. Spero di esserci riuscito!

E. Nel suo canale Youtube ci sono tre video suoi mentre suona i tre movimenti della Guitar Sonata di Stefano Taglietti a lei dedicata, vuole parlarci di questo pezzo e di questo compositore?

S.T.: Ogni movimento di questa sonata ha in realtà un sottotitolo che esplicita l'idea che ne è alla base, nell'ordine: "Ian Curtis voodoo", "The slow young's prayer" e "Finale".







Il primo tempo è ispirato al celebre cantante dei Joy Division che durante i concerti esorcizzava la paura per i suoi possibili attacchi epilettici con una sorta di rituale mimico; da qui l'estremo eclettismo della scrittura che alterna parossismo e quiete.






Il secondo è una sorta di blues lento che rende molto bene l'idea di raccoglimento e meditazione.






Il finale è costruito su dei bicordi ribattuti con cambiamenti dinamici continui che sfociano nella conclusiva liquefazione del suono; ciò che rimane alla fine è un ultimo bicordo in pianissimo. Anche questa, un'opera interessantissima.

E. Lei ha suonato dal vivo Olas di Caterina Calderoni e Sonata di Giampaolo Bracali, ci vuole parlare di questi pezzi?

S.T.: "Olas" è uno dei primi pezzi per chitarra della compositrice milanese Caterina Calderoni (un'ottima opera prima, direi!). Il brano è una sorta di intersezione tra risonanze di corde a vuoto e "rumori" ottenuti con lo smorzamento della vibrazione delle corde con la mano sinistra. Il titolo ("Onde" in spagnolo) rimanda soprattutto alla parte centrale, nella quale l'accumulo di diverse masse sonore suggerisce l'effetto "ondoso".La "Sonata" di Giampaolo Bracali è scritta invece nei quattro movimenti classici (Preludio-Scherzo-Corale e fuga- Passacaglia; in realtà sembra più una suite barocca). La scrittura contemporanea qui si adatta perfettamente allo stampo della forma tradizionale in una continua tensione tra passato e presente. Molto bello il Corale e fuga, a mio parere, ma tutta la composizione ha un respiro che ne fa un grande pezzo del repertorio chitarristico.

1 commento:

Anonimo ha detto...

<<.. che la difficoltà maggiore, al di là del dato tecnico, risieda nell'inglobare questa visione sonora all'interno della struttura formale....Spero di esserci riuscito!>>

Questo si domanda Sante Tursi, dopo aver eseguito i miei SetteStudi.
Ci sei riuscito benissimo, rispondo, e anche nel modo più "antico": a mia insaputa.
Nel senso che non avevamo avuto contatti precedenti e, ascoltando l'esecuzione quasi per caso, ho riconosciuto subito il lavoro consapevole e la profondità del pensiero. Questo ha permesso a Sante di capire la cosa fondamentale che ho voluto citare all'inizio di questo post: l'aspetto formale dei Sette Studi, la loro concezione prismatica, ognuno costruito per una vita indipendente così come per una presenza strutturata nell'intero ciclo. Non solo una esecuzione della mia musica, direi soprattutto il lavoro di un Interprete. Bravo Sante.
Maurizio Pisati