mercoledì 11 novembre 2009

Intervista con Giorgio Tortora seconda parte



Qual è la sua composizione a cui sei più legato? Con quali chitarristi hai collaborato o senti più affini alla tua visione musicale?

La mia, diciamo così, carriera in veste di compositore è stata dall’inizio assolutamente lucida, progettata. Per provare ad imporre me stesso all’attenzione – in particolare quello chitarristico - ho composto “Le Bouquet” , 12 studi di media difficoltà, scritti in uno stile assolutamente tonale, che quindi potessero dare soddisfazione soprattutto all’esecutore. Ebbero fortuna ed oggi sono normalmente usati da molti maestri in tutto il mondo; per questo mai finirò di ringraziare Bruno Giuffredi che in maniera assolutamente disinteressata ha dato il consenso alla pubblicazione (Sinfonica – Milano). In seguito ho pubblicato altri brani riducendo progressivamente le cellule musicali prevedibili a favore della fotografia esistenziale che – come ho detto - è ciò che più mi interessa: “Serpenti e Scale” per flauto e chitarra (ed. UT Orpheus), e “Toccata e Fuga” per violino e pianoforte (ed. UT Orpheus), mantengono rigorosamente le formule compositive del barocco, tuttavia “aprono” il suono, gridano, ansimano, quasi dentro gli strumenti vi fossero persone incatenate. Oggi voglio molto bene alla mia “Sonata” per chitarra (ed. Les Production d’Oz- Montreal); con essa ho inteso rappresentare un viaggio, uno dei tanti lungo il destino di ognuno. Immagina un’ autostrada: sei seduto nella tua vettura mentre il mondo intero ti scorre letteralmente addosso, un cane abbaia da un casale, due giovani che si giurano la vita nel piazzale di un autogrill, mentre un camionista riparte da quello stesso autogrill perso dentro i propri pensieri. Anche tu poi riparti e mille cose accadono ancora senza che la tua coscienza se ne accorga. La “Sonata” fotografa semplicemente questo presente inconscio senza sottolineare o caratterizzare. Ognuno di noi ha una vita “bloccata” se decide di stare al centro di un punto ma può comprende e farsi comprendere se è capace di comunicare interiormente, magari telepaticamente. Uno dei maggiori scrittori argentini, Horacio Ferrer, scrisse questi versi “….le ossa di Olivari conoscono questo odore...” quindi io scrivo perché comprendo quel cane che abbaia, il camionista che pensa, scartando altre chiavi di lettura magari più razionali.Ho riflettuto a lungo prima di pubblicarla questa difficile Sonata perché consapevole che era per me cosa importante, un editore canadese, ma soprattutto uno straordinario chitarrista, Marko Feri, hanno fatto il resto.

Quale approccio segui per comporre? Usi il computer o preferisci un approccio più “tradizionale”? Scrivi su pentagramma o ricorri ad altre sistemi come diagrammi, disegni etc.?


Siamo nel 2009 e bisogna usare assolutamente il computer! Non ha più senso scrivere sul foglio, per poi correggere, e ricorreggere. Oltre a ciò ritengo inevitabile che il destino dei compositori sarà sempre più legato agli standards di grafica e nomenclatura che “Finale” o “Sibelius” sono riusciti in pochi anni ad affermare. Questi modelli hanno già oggi messo d’accordo le diverse sottigliezze che per secoli hanno contrapposto molti manuali; piccole cose sia chiaro, la realizzazione di abbellimenti, alterazioni di precauzione o gruppi irregolari che tuttavia a volte hanno acceso dispute e querelle. L’esempio per noi chitarristi va al classico “come si fa…..?” in alcuni di Villa Lobos, ovvero la ricerca di verità in merito alle soluzioni grafiche che la casa editrice adottava, i simboli dei suoni armonici, degli arpeggi, del legato chitarristico ancora; ognuno di noi ha conosciuto una verità.. e giù polemiche. Accanto a ciò il computer certamente darà la possibilità a moltissimi nuovi compositori di realizzare nuove opere, in qualche caso anche a prescindere della forma scritta, tuttavia la domanda a questo punto è mia: siamo davvero così sicuri che la musica scritta così come oggi la intendiamo avrà ancora un futuro, oppure le nuove tecnologie spazzeranno in un lampo anche ogni riferimento di prassi, cartaceo e di nomenclatura come oggi finora adottato?

Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Tu suoni sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … ti riconosci in queste parole?

Io ho suonato un repertorio molto vasto, tuttavia mai – se qualche successo ho ottenuto - il distinguo è dipeso da una specifica conoscenza. Credo dipenda tutto da una serie di circostanze, il pubblico, la nazione che ti ospita, i compagni di avventura, ancora una volta parlo quindi di cose extramusicali e non di simbiosi musicale, anche se è inevitabile riconoscere che Angela Hewitt ha un filo diretto con Bach, che Yuri Bashmet sa meglio di altri dare senso alle spericolate note di Schnittke. Che poi il retaggio culturale di questi personaggi sia intriso di più profonde conoscenze rispetto agli altri è tutto da dimostrare: per me si tratta di “superarte”, una particolare dote che già i filosofi greci avevano osservato in alcune persone, un’arte che prescinde qualsiasi studio e che purtroppo le mie mani non posseggono. Cinicamente, ma solo cinicamente posso dire che la musica di Berio, di Webern di Henze non esiste più, ma non per una vera ragione culturale o stilistica bensì perché è la cifra sociale de mondo intero che è cambiata: non serve costruire la più bella delle autostrade se poi al posto delle vetture si usa il teletrasporto.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

E’ già accaduto: in ogni programma da concerto vi è un florilegio di autori e stili diversi ma credo che ciò non sia assolutamente un problema. Personalmente quando ascolto mi piace considerare il gesto artistico dell’esecutore più ancora di ciò che propone. E’ un bell’alibi, vero?


continua domani

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