martedì 17 novembre 2009

Intervista di Massimo Lonardi prima parte



La prima domanda è d’obbligo: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra e per il liuto?

Sono nato nel 1953 ed ho cominciato lo studio della musica da autodidatta verso i 13 anni, come chitarrista rock (amavo,ed amo, soprattutto i Jethro Tull). Dopo qualche tempo ho deciso di iscrivermi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dove ho avuto la fortuna d’avere come insegnante di chitarra classica Ruggero Chiesa che, fin dai primi anni di studio, mi fece conoscere la musica per liuto. Grazie a mia madre, che è pittrice e decoratrice, conoscevo già le arti figurative del Rinascimento, ma non sapevo nulla della musica di quest’epoca storica che cominciai ad amare attraverso trascrizioni per chitarra del mio insegnante. In seguito, dato che con la chitarra classica non suonavo altro che intavolature per liuto, decisi di dedicarmi esclusivamente allo studio della prassi esecutiva degli strumenti antichi e frequentai diversi corsi con Hopkinson Smith.

Lei si è diplomato al Conservatorio di Milano con Ruggero Chiesa e poi ha studiato con Hopkinson Smith, che ricordi ha di questi due insegnanti?

Di Ruggero ricordo soprattutto la grande disponibilità, la pazienza e l’amore col quale insegnava. Hokpinson Smith , oltre che un grande esecutore ( rimane il liutista al quale mi sento più vicino e riconoscente) è, come tutti sanno, un ottimo insegnante dotato di straordinario intuito e di affettuosa ironia.

Il suo penultimo cd per la Stradivarius, “La Suave Melodia”, ha ricevuto, giustamente, molte lodi e commenti positivi dalla stampa specializzata, vuole raccontarci come è nato questo progetto e come mai è stata scelta la formula del trio chitarristico, in compagnia di Lorenzo Micheli e Matteo Mela? Come è stato lavorare con questi chitarristi, stilisticamente e anagraficamente più giovani di lei?

Qualche tempo fa Lorenzo Micheli mi disse che aveva intenzione di iscriversi al corso estivo che ogni anno tengo a Brisighella. Pensavo che scherzasse, ma invece me lo trovai lì, iscritto assieme al suo ex insegnante Frederic Zigante (in seguito, arrivò anche Leopoldo Saracino). Fui sorpreso ed onorato di avere, anche se per breve tempo, allievi di questo calibro che costituirono la Master Class di più alto livello ch’io abbia mai avuto.
L’anno successivo con Lorenzo e Matteo Mela, un altro chitarrista di eccezionale livello al quale ho avuto il piacere di dare qualche consiglio per la prassi esecutiva antica, abbiamo formato il trio composto da tiorba, chitarra barocca e arciliuto (o arciliuto e due chitarre barocche), per realizzare il progetto “ La suave melodia “dedicato ad Andrea Falconieri ed al suo tempo. Dopo aver eseguito questo programma per un anno abbiamo deciso di registrarlo per la Stradivarius.
Lavorare con Lorenzo e Matteo è per me una delle più grandi soddisfazioni perché siamo amici e abbiamo un’intesa musicale assoluta. Inoltre collaborare con loro che, essendo chitarristi classici utilizzano le unghie (anche se piuttosto corte ), è stata l’occasione per definire meglio il concetto che, attraverso lo studio di vari documenti dell’epoca, mi sono formato della sonorità degli strumenti a pizzico nel Barocco italiano e spagnolo. Molti miei colleghi liutisti sono tuttora convinti che il liuto e gli strumenti similari vadano comunque suonati senza l’utilizzo delle unghie, ma questo non corrisponde alla realtà storica. L’impostazione della mano destra secondo la prassi rinascimentale (molto orizzontale con il pollice sotto all’indice, chiaramente descritta nella prefazione all’intavolatura di Vincenzo Capirola- Venezia ca.1517, e documentata da un’enorme quantità di documenti iconografici) non richiede l’uso delle unghie (che con questa posizione darebbero solo fastidio), ma per il Barocco italiano le cose cambiano notevolmente. Alessandro Piccinini, che ritengo sia stato il più grande liutista-compositore italiano vissuto a cavallo tra ‘500 e ‘600, nelle preziose istruzioni contenute nella sua “ Intavolatura di liuto e di chitarrone “ pubblicata a Bologna nel 1623, richiede esplicitamente l’utilizzo delle unghie della mano desta. Dopo aver raccomandato che l’unghia del pollice non sia molto lunga scrive : “ Le altre tre dita. cioè Indice, Medio, & Anulare, i quali certamente debbono havere le ugne tanto lunghe che avanzino la carne, e non più, & che abbiano dell’ovato, cioè ; che siano più alte in mezo; s’adopreranno in questa maniera ; che quando si farà una pizzicata ... si piglierà detta corda con la sommità della carne, & urtandola verso il fondo , si farà, che l’ugna lasci sfuggire tutte due le corde, e faranno armonia buonissima....”. Ovviamente questo tipo di attacco delle corde, unito alla diversa impostazione della mano destra in uso dal tardo Rinascimento ( meno orizzontale rispetto a quella in uso nel Rinascimento e più simile, fermo restando l’appoggio del mignolo alla tavola armonica, a quella della moderna chitarra classica, col pollice all’esterno), non può che generare una sonorità liutistica diversa da quella che si ottiene con l’impostazione rinascimentale. Non bisogna però credere che questa prassi sia un’anomalia o una bizzarria ascrivibile solo a Piccinini ; l’analisi delle fonti iconografiche conferma, in alcuni casi, l’uso delle unghie e Filippo Della Casa, uno degli ultimi liutisti italiani, nel suo manoscritto “ Suonate di Celebri Auttori ... “ parla di “ ... tasteggiare con le unghie ... “ confermando la continuità di questa prassi, almeno per quanto riguarda l’ Italia, fino alla fine del ‘700, mentre nell’ imprimatur del maestro di cappella Sebastian Alfonso per il libro di chitarra di Gaspar Sanz leggiamo : “ vi sono alcuni che suonando con le unghie e vi rapiscono l’anima mentre altri ve la graffiano ... “ Quindi ciò che conta è il modo, la qualità del tocco col quale le unghie vengono utilizzate. Per il CD dedicato a Falconieri anch’io, che essendo soprattutto un liutista rinascimentale normalmente non uso le unghie, mi sono lasciato crescere un filo d’unghie nella forma raccomandata da Piccinini.

continua domani...

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