giovedì 17 dicembre 2009

Intervista con Juan Trigos terza parte


Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” … si riconosce in queste parole?

Berio si riferiva sicuramente alla questione della tradizione. Infatti, tutti proveniamo da una certa tradizione e questa è determinante nella nostra formazione, sia come interpreti, sia come compositori. Anche Donatoni era d’accordo con questo. Noi compositori, per esempio, cerchiamo di scrivere nel modo più preciso possibile, ma senza una tradizione alle spalle, anche quella orale, non avremmo i mezzi necessari a rappresentare la musica in modo esatto. Prendiamo ad esempio la musica barocca, all’epoca esistevano una serie di convenzioni che i compositori e gli interpreti conoscevano molto bene riguardo alla realizzazione della ornamentazione, del fraseggio, ecc. e non tutto veniva scritto. Per la musica contemporanea accade lo stesso, anche se c’è un po’ la tendenza a perfezionare, quasi esagerando, la notazione. Bisogna dire, poi, che il termine contemporaneo non definisce chiaramente a quale stile, epoca, paese ci stiamo riferendo. Per un certo periodo, nel XX secolo, c’è stata un po’ la tendenza ad volere annullare queste differenze e ad universalizzare tutto, ma questo non è possibile in quanto tutti siamo il prodotto di noi stessi come individui e il prodotto di diverse influenze culturali. Anche l’interprete se deve suonare una certa musica deve conoscere bene la tradizione a cui essa è legata ed è per questo motivo diventa ogni giorno più difficile eseguire musiche di cui non si conoscono le origini. Per eseguire Brahms, per esempio, bisogna tenere conto di tutta la grande tradizione tedesca ma anche della parte ungherese. Lo stesso per Gershwin, Magnus Lindberg, gli autori delle scuole nazionali come Mussorgskij, De Falla, Stravinskij, ecc. Ogni scuola, ogni persona, ogni compositore provenienti da un certo paese porta dentro la propria ricchezza culturale che viene trasmessa nella partitura e che anche l’interprete deve approfondire.

Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?

E’ difficile dirlo. Penso che la cosa più importante sia prima di tutto avere l’opera per poi venderla. Intendo dire che a volte ho l’impressione che tutti abbiano come obiettivo primario la vendita e non la musica. Nel marketing non c’è niente di sbagliato, la difficoltà sta nel sapersi vendere, occorre creare una certa immagine e cose di questo tipo, ma credo che in fondo sia sempre stato così. Quello in cui non credo è la costruzione falsa dell’artista. Tutti cercano quella che solitamente chiamo una specie di ricetta di cucina per il successo, concetto che generalmente viene compreso in modo sbagliato e che in campo artistico viene tradotto nella produzione in massa di quello che si crede incontri i gusti del pubblico. Questo, però, non ha nulla a che vedere con l’ arte. Un artista di qualsiasi tipo, pittore, scultore, ecc , ha bisogno di promuoversi per far conoscere il proprio lavoro, ma questo non implica la corruzione della propria essenza.

Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

La creatività è relazionata alla propria espressione e a quello che ha dentro ogni compositore, di conseguenza si inventa un linguaggio ad hoc a servizio dell’espressione stessa. Non credo nel linguaggio speculativo puro perché manca di contenuto. Credo piuttosto che il linguaggio lo inventi il compositore stesso per un’esigenza personale di ricreazione di se stessi, come avrebbe detto Donatoni, che è quello a cui mi riferivo prima con il concetto di rilettura. E’ un modo di rivedere se stessi tutto il tempo, di reinventarsi. Ma parlare elusivamente di linguaggio è un po’ superficiale ed è il male dei nostri tempi in cui c’è la tendenza a focalizzare l’attenzione sul tipo di linguaggio utilizzato o da utilizzare. Parlando della mia musica, l’ invenzione si trova nell’ immaginazione e non nella scrittura ed è influenzata anche dalle mie origini. In Messico, il mio paese di origine, vive una ricchissima tradizione musicale che ci ha dato molti autori importanti. Ne posso menzionare tre tra i più grandi Ponce, Chávez e Revueltas, anche se ce sarebbero molti altri da citare soprattutto dei nostri giorni, senza dimenticare che esiste una ricchissima cultura non solo in campo musicale ma anche nella letteratura, il teatro, la pittura, la culinaria ecc.

Qual è la sua composizione a cui è più legato?

E’ difficile rispondere a questa domanda. Sono molto legato in diversi modi a tutti i miei pezzi e non credo che uno solo di essi possa essere considerato in assoluto quello a cui sono più legato. In realtà è un po’ come se avessi scritto sempre lo stesso pezzo ma sotto ottiche differenti, quindi non posso dire di essere legato a una sola composizione, soprattutto perché in ognuna di esse ho lasciato parte di me stesso quindi non potrei scegliere.


continua domani

Nessun commento: